Arte e cibo, il magico viatico per l’Aldilà degli antichi egizi

Il legame tra l’uomo e l’alimentazione tra vita e morte, come rappresentazione dell’esistenza che varca le dimensioni

Scena di uccellagione (Fonte Antika.it)
Scena di uccellagione (Fonte Antika.it)

Se, parafrasando Ippocrate, il cibo è medicina per gli uomini, allora non si può negare sia sempre stato fonte di ricerca e progresso, ma anche conforto e ristoro, tanto da essere considerato viatico per il mondo dei vivi e per quello dei morti. Non è casuale pertanto la continua presenza degli alimenti nelle raffigurazioni pittoriche di tutti i Tomba di Ramesse III. La panificazione (Beniculturali.it)tempi seppur con differenti significati e finalità.

Nelle affascinanti pitture parietali dell’antico Egitto è racchiusa la visione di un’intera civiltà. Essendo la morte una prosecuzione della vita, si credeva che il defunto necessitasse non solo di un corpo in buone condizioni – da qui i riti di mummificazione – ma di tutto ciò che apparteneva alla sua quotidianità, incluse le vivande.

Il corredo funerario della tomba egizia prevedeva la deposizione degli oggetti di uso personale, di bevande e cibo in abbondanza così da consentire la sopravvivenza dell’anima per l’eternità. L’inevitabile fine e il possibile deperimento degli alimenti – seppur molti di essi, insieme ai contenitori, siano giunti fino a noi – resero indispensabile la creazione della stele funeraria con la formula magica dell’offerta e la raffigurazione del pasto del defunto.

Con la specifica funzione di ricreare i particolari della vita del morto e quindi di far costantemente riprodurre il cibo a lui necessario per la vita ultraterrena, la stele funeraria è il simbolo di come l’arte – in questo caso principalmente la pittura – sia sempre stata linguaggio imprescindibile della sua esistenza. La precisa possibilità di rappresentare graficamente un oggetto, un alimento, una persona corrispondeva, nell’antico Egitto, a un suo sdoppiamento, alla creazione di una alterità e all’affermazione della sua esistenza al di là della caducità della vita.

La raffigurazione degli alimenti – e dei metodi con cui produrli – insieme al posizionamento di statuette con servitori nell’atto di preparare il pasto non avevano semplicemente una funzione descrittiva e didattica – come in altre civiltà – ma un potere simbolico e propriamente magico, capace di dialogare con l’oltretomba e di consentire al morto una permanenza serena. Grazie a queste scene dipinte o scolpite sulle pareti delle tombe egizie, oggi è possibile comprendere i valori di questo popolo misterioso ma, soprattutto, le sue consuetudini che, come in un libro ad 20141106-Donna che prepara la birra_Fonte Beniculturali.it-220x525immagini, sono raccontate con dovizia di dettagli.

È così possiamo conoscere in modo approfondito gli alimenti di cui si nutrivano, le tecniche di produzione, di conservazione e di cottura, le usanze dei ceti più abbienti, che palesavano il proprio status sia attraverso la ricchezza del corredo funerario che attraverso la statuaria in cui gli uomini con un adipe pronunciato rappresentavano le possibilità economiche del soggetto, seppur la morale in vigore ricordasse l’importanza della misura a tavola.

Come è evidente dalle offerte funerarie e dalle statuette – tipiche dell’Antico Regno – raffiguranti servitori nell’atto di macinare cereali e di preparare la birra, questa e il pane erano alla base dell’alimentazione degli egiziani. Le frequenti inondazioni del Nilo, che lasciavano sulla terra una patina di fertile limo, consentivano fino a due raccolti di farro, orzo e di un terzo tipo di frumento all’anno (nella foto a destra, una statuetta raffigurante una donna nell’atto di preparare la birra, foto Beniculturali.it). La farina, ottenuta dalla macinazione in casa – di competenza delle donne – era utilizzata per fare pane di vari tipi, tra cui quello di orzo che serviva soprattutto per la fabbricazione della birra.

Al meno diffuso vino – pigiato con i piedi come mostrano diverse scene – si preferiva la coltivazione di frutta (fichi, cocomeri, datteri, melograni) e ortaggi (cipolle, porri, lattuga, ceci, fave), ma anche dell’ulivo, introdotto grazie ai traffici commerciali nel Mediterraneo.

Alla base dell’alimentazione vi erano la caccia – soprattutto, quella degli uccelli, molto amata dai ceti più ricchi – e la pesca, presente nelle pitture parietali poiché il pesce era di facile reperimento e quindi molto diffuso.

Eppure nelle tavole d’offerta funeraria i pesci non erano presenti e il motivo di questa scelta potrebbe essere ricondotto al fatto che molte divinità erano adorate sotto l’aspetto di animali e quindi non potevano essere oggetto di alimentazione nel loro stesso luogo di culto.

Così l’arte diviene voce di una civiltà e dei suoi valori, nonché strumento fondamentale per entrare in contatto con quell’aldilà cui gli antichi egizi erano fortemente legati. Nella continuità tra la vita e la morte il cibo mantiene la sua funzionalità, mentre la raffigurazione assume un potere magico, quasi salvifico, per la sua capacità di rendere vero ciò che non lo è e di creare illusioni e incantesimi in grado di proiettare l’uomo verso una speranza o verso una dimensione altra.

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