Il Bahrain alla prova delle prime elezioni dalle Primavere arabe fallite, ma gli sciiti boicottano le urne

Seggi aperti per la giornata di oggi, il secondo round di votazioni in programma il prossimo 29 novembre. Alle urne 350mila aventi diritto, per rinnovare il Parlamento e i consigli municipali. Al Wefaq e altri tre gruppi sciiti boicottano il voto, una “farsa” che serve solo a rafforzare il “dominio assoluto” della leadership sunnita

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Manama – In Bahrain ieri si è votato per le prime elezioni parlamentari dall’inizio delle proteste legate alla Primavera araba, nel febbraio 2011. Le operazioni di voto riguardano 350mila aventi diritto e sono iniziate questa mattina alle 8 ora locale, le sei in Italia. In concomitanza con il voto parlamentare, si sono tenute anche le elezioni municipali, mentre una seconda tornata di voto è in programma sabato prossimo, 29 novembre.

Tuttavia, l’appuntamento elettorale è stata boicottata dalla maggioranza sciita del Paese, guidato dalla famiglia reale al-Khalifa, di confessione sunnita. Una protesta contro elezioni definite una “farsa”, che intenderebbero solo rafforzare il “dominio assoluto” della leadership al potere. 

In lizza per un seggio in Parlamento e nei consigli municipali 419 candidati, di cui 266 concorrono per un seggio in Parlamento e gli altri 153 nelle amministrazioni locali. Il principale partito di opposizione, Al Wefaq, e altri tre gruppi politici hanno boicottato le urne e hanno annunciato una possibile escalation di violenze. Un pessimo modo di criticare il dominio altrui, minacciando.

Fonti locali hanno raccontato di seggi elettorali affollati nelle zone a maggioranza sunnita, mentre nei settori in cui prevale la componente sciita si sono verificati blocchi nelle strade e nelle piazze. 

Il Bahrain è alleato di Washington e ed è sostenuto dall’Arabia Saudita. A Manama ha sede la Quinta Flotta della US Navy, che ha rilevato dalla Settima la competenza di area per il Golfo Persico. Il Paese è agitato da continue proteste religiose fin dall’inizio del 2011, quando i primi tumulti delle Primavere arabe iniziarono a manifestarsi, sulla scorta delle mobilitazioni in molti Paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente. Di cui però sappiamo l’esito, con l’emergere di movimenti fondamentalisti islamici poi repressi con difficoltà anche grazie alla reazione popolare, come avvenuto in Egitto e Tunisia (dove si vota proprio oggi, domenica).

La maggioranza sciita chiede all’élite governativa maggiori libertà e riconoscimenti, tuttavia dietro le manifestazioni sembra esserci la mano di Teheran, più volte accusata di fomentare la rivolta con l’obiettivo di sollevare la famiglia regnante dal potere del piccolo Stato petrolifero. Le autorità hanno reagito reprimendo le proteste, anche nel sangue. Di fatto sono falliti i successivi tentativi di “dialogo nazionale”. 

Analisti ed esperti di politica locale concentrano le loro attenzioni sul dato relativo all’affluenza alle urne. L’opposizione sciita ha infatti ammonisto che la mancata partecipazione al voto rappresenterebbe una netta sconfitta per la leadership al potere e renderebbe nulli i risultati elettorali. Sheikh Ali Salman, capo di Al Wefaq, ha previsto un’affluenza massima del 30 per cento e ha rilevato che questo sarebbe un segnale preciso “del popolo“, che chiede “riforme in chiave democratica“. Un argomento sentito già a Gaza dai movimenti islamici di Hamas e del Jihad Islamico, ma sappiamo già come poi è finita: conquista del potere con il voto democratico, avvio di un periodo di repressione islamista nel segno della sharia applicata nel modo più violento.

Il Bahrain è sull’orlo di scontri ancora più profondi, ma chi chiede democrazia vuole affossarne per molto tempo le possibilità di sviluppo.

(Credit: AsiaNews, Al Arabiya) © RIPRODUZIONE RISERVATA