Standard & Poor’s declassa l’Italia, il rating scende a “BBB-“. Pesano assenza di crescita e debito pubblico elevato

L’outlook stabile riflette l’aspettativa che il governo “possa gradualmente implementare le riforme strutturali” e che i bilanci delle famiglie “possano rimanere abbastanza forti”. Bocciatura della capacità di incidere dell’Italia nelle politiche dell’Unione Europea (sbagliate) contro lo strapotere della Germania e del “Fronte Nordico”

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New York – L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia a ‘BBB-‘. La decisione riflette la revisione al ribasso delle stime del Pil e la persistente bassa inflazione. L’outlook è stabile.

A pesare sull’economia italiana è anche “il difficile ambiente di business che continua a gravare sulle prospettiva di ripresa del Paese“. Secondo S&P, la debolezza della crescita in Italia “ha inciso più del previsto sulla dinamica del debito pubblico“. Secondo i criteri dell’agenzia di rating, un aumento del debito pubblico di queste proporzioni, insieme alla bassa crescita e a peggiorata competitività, “non sono compatibili con un rating ‘BBB’“.

L’outlook stabile riflette invece l’aspettativa che il governopossa gradualmente implementare le riforme strutturali” e che i bilanci delle famigliepossano rimanere abbastanza forti per assorbire ulteriori aumenti del debito pubblico“. S&P tiene in considerazione anche il fatto che la politica monetaria della Banca centrale europeacontinuerà a sostenere una normalizzazione dell’inflazione in Italia e dei suoi partner commerciali dell’Eurozona“, in altri termini a Mario Draghi la Germania impedirà qualsiasi manovra per ottenere l’effetto contrario e sostenere i debiti pubblici nazionali, attraverso l’acquisto di titoli. 

Dunque, se vogliamo vedere questo declassamento in una prospettiva diversa, il giudizio di S&P riflette anche la scarsa capacità dell’Italia di incidere nella politica economica e finanziaria delle istituzioni dell’Unione Europea e di impedire politiche sbagliate – fondate sull’austerità – promosse attorno al ruolo egemonico della Germania – capofila dei Paesi del Nord Europa – nel bloccare i passi necessari per sostenere la crescita nell’Eurozona. 

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