Francesco “tira le orecchie” alla stampa: siate liberi, aperti alla comprensione, non schiavi del clamore

“Spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di controllo dell’economia e della tecnica. Ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la ‘parresia‘, cioè il coraggio di parlare con franchezza e libertà”


Città del Vaticano – Parlare “con franchezza e libertà” alle “persone intere: alla loro mente e al loro cuore” per rendere concreta quella “cultura dell’incontro, oggi così necessaria“, evitando “i peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione” e la superficialità di “correre subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la complessità della vita reale“.

Lo ha detto Jeorge Mario Bergoglio durante l’incontro di oggi con gli operatori di TV 2000, la televisione della Conferenza Espicopale Italiana, tenuto nell’Aula Nervi e che è stata l’occasione colta dal Pontefice per suggerire i compiti di chi lavora nel settore delle comunicazioni sociali e, in modo più marcato, dei “comunicatori” cattolici.

Nel suo discorso il Papa ha sottolineato tre “compiti“: parlare con libertà, senza sottomissioni verso politica o economia; scegliere la “via della comprensione” dell’intera realtà ed evitare la scelta di “colpire” l’utente. Insomma, la libertà e la responsabilità come pilastri dell’azione sociale indispensabile a contribuire a un corretto ed equilibrato sviluppo democratico della società.

I media cattolici – ha detto infatti Bergoglio – hanno una missione molto impegnativa nei confronti della comunicazione sociale: cercare di preservarla da tutto ciò che la stravolge e la piega ad altri fini“, perché “spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di controllo dell’economia e della tecnica”, una sorta di promemoria ai “giacobini del secondo tempo” (virgolettato e definizione nostra), quelli che Bruno Vespa ha evocato già nel titolo del suo ultimo libro di fine anno: i voltagabbana (senza memoria). 

Al contrario, il Pontefice ha rilevato che “ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la parresia, cioè il coraggio di parlare con franchezza e libertà. Se siamo veramente convinti di ciò che abbiamo da dire, le parole vengono. Se invece siamo preoccupati di aspetti tattici, il nostro parlare sarà artefatto e poco comunicativo, insipido. La libertà è anche quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: ecco il primo compito del comunicatore“. 

La comunicazione – ha proseguito il Papa – evita sia di ‘riempire’ che di ‘chiudere’. Si ‘riempie’ quando si tende a saturare la nostra percezione con un eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo annullano. Si ‘chiude’ quando, invece di percorrere la via lunga della comprensione, si preferisce quella breve di presentare singole persone come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità. Correre subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la complessità della vita reale, è un errore frequente dentro una comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva“, la lectio magistralis del Pontefice ai comunicatori e, specialmente, a chi svolge la funzione del comunicatore portando il ‘peso’ dei valori cristiani e cattolici.

Duqnue, “Aprire e non chiudere: ecco il secondo compito del comunicatore, che sarà tanto più fecondo quanto più si lascerà condurre dall’azione dello Spirito Santo, il solo capace di costruire unità e armonia“.

Infine, Jeorge Mario Bergoglio ha esposto “il terzo compito del comunicatore“Parlare alla persona tutta intera“. Ossia evitando “i peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione“. “La disinformazione, in particolare, spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è preoccupata di ‘colpire’ – ha ricordato il Papa, perché – l’alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone“. Invece, “occorre parlare alle persone intere: alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso del futuro“.

Se ne desume che “risvegliare le parole, aprire e non chiudere, parlare a tutta la persona – ha concluso Bergoglio – rende concreta quella cultura dell’incontro, oggi così necessaria in un contesto sempre più plurale. Ciò richiede di essere disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri“.

Che scoppola, ragazzi!

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