La caccia al super-latitante Matteo Messina Denaro: sequestrati beni per 20 mln

Posti i sigilli a diversi complessi aziendali, attività agricole e commerciali, terreni e fabbricati, autoveicoli, beni mobili strumentali e disponibilità finanziarie intestati a presunti fiancheggiatori del boss e a lui riconducibili. Colpiti dal provvedimento diversi imprenditori, tutti arrestati nel dicembre 2013 in quanto coinvolti nel “supporto alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro nel controllo degli interessi economici riconducibili a quest’ultimo“, affermano gli inquirenti

Matteo Messina Denaro (49) in una foto da giovane e in una ricostruzione "attualizzata" della Polizia Scientifica
Matteo Messina Denaro (49) in una foto da giovane e in una ricostruzione “attualizzata” della Polizia Scientifica

Palermo – Continua la caccia al super-latitante Matteo Messina Denaro da parte degli inquirenti della procura di Palermo e della DDA del capoluogo siciliano; e continua l’azione di ‘prosciugamento’ dell’acqua in cui nuota tutto il coté criminale del latitante castelvetranese, con l’obiettivo di fare terra bruciata attorno alle attività con cui i boss della criminalità organizzata investono i proventi delle attività delinquenziali e li proteggono con la copertura di persone ‘pulite’

Oggi gli inquirenti hanno posto sotto sequestro, attraverso l’azione della Guardia di Finanza di Palermo, beni per complessivi 20 milioni di euro, riconducibili al latitante più ricercato d’Italia. Posti i sigilli a diversi complessi aziendali, attività agricole e commerciali, terreni e fabbricati, autoveicoli, beni mobili strumentali e disponibilità finanziarie, intestati a presunti fiancheggiatori del boss.

Il sequestro, disposto dalle Sezioni Misure di Prevenzione dei Tribunali di Palermo e di Trapani, su richiesta della Procura della Repubblica e della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha interessato diversi imprenditori, tutti arrestati nel dicembre 2013 in quanto coinvolti, a vario titolo, nel “supporto alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro nel controllo degli interessi economici riconducibili a quest’ultimo“, spiegano gli investigatori.

I provvedimenti concludono indagini economico-patrimoniali svolte in modo congiunto dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza di Roma e dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Trapani, sotto la direzione della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo.

La ricostruzione patrimoniale ha permesso di definire le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici, fra cui Messina Denaro, negli affari di diverse società ed attività agricole e commerciali, dislocate in diverse province della Sicilia e del Sud Italia.

In particolare – affermano gli inquirenti – l’indagine ha fatto luce sulle modalità di controllo delle attività economiche e produttive sul territorio, da parte dell’organizzazione capeggiata da Messina Denaro, attraverso la gestione occulta di società e imprese di diretta emanazione criminale, operanti in svariati settori“. “Le investigazioni hanno permesso di svelare, oltre alle personali responsabilità penali degli indagati nell’azione di supporto alla latitanza del boss trapanese – i magistrati che coordinano l’inchiesta aggiungono –  l’esistenza di un circuito imprenditoriale teso ad assicurare un completo controllo economico del territorio nel settore dell’edilizia e del relativo indotto, mediante la gestione e la spartizione di importanti commesse“.

Tra gli interessati dai provvedimenti ha assunto particolare rilievo la posizione di Giovanni Filardo (cugino di Messina Denaro), al quale è stata contestata la titolarità di fatto di società operanti nel settore dell’edilizia. L’uomo, a fronte di redditi esigui, “aveva evidenziato significative disponibilità, sia di tipo aziendale che personale, che sono risultate di provenienza illecita“. Precedenti attività investigative della Squadra Mobile della Polizia di Stato di Trapani hanno invece evidenziato il ruolo di Francesco Spezia nella condotta finalizzata all’intestazione fittizia della SPE.FRA Costruzioni Srl.

Gli accertamenti hanno, inoltre, fatto emergere elementi di interesse investigativo sul livello di collocazione all’interno dell’organizzazione di Vincenzo Torino e Aldo Tonino Di Stefano, quali prestanome della Fontane d’oro Sas, impresa operante nel settore olivicolo, ritenuta di importanza cruciale sul territorio campobellese. “L’articolata attività aveva già permesso di accertare la riconducibilità alla famiglia mafiosa di Castelvetrano di diverse attività economiche, controllate da Antonino Lo Sciuto, le cui vertenze per la spartizione dei guadagni venivano risolte, in taluni casi, da Francesco Guttadauro – dicono gli inquirenti – figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, quale collettore delle relazioni connesse all’attività di sostentamento della famiglia dei Messina Denaro e dello stesso latitante“.

Tra i beni sottoposti a sequestro si annoverano 3 società, 7 quote societarie e 4 ditte individuali, 12 autovetture, 4 veicoli industriali, 1 motociclo, 13 autocarri, 3 semirimorchi, 1 fabbricato industriale, 1 immobile a destinazione commerciale, 8 immobili ad uso abitativo, 29 terreni, 4 fabbricati rurali, polizze assicurative, titoli azionari, rapporti bancari, depositi a risparmio, per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro.

(Fonte: Adnkronos)