La Corea del Nord ha vinto la prima guerra cibernetica: Sony ritira “The interview” per paura di attentati

La decisione è arrivata dopo le minacce rivolte alla multinazionale sul web, che avevano spinto le principali catene di sale cinematografiche statunitensi a cancellare la proiezione del film. Sony è vittima di cyber attacchi dal 24 novembre e tutte le piste portano ai cyber-incursori nordcoreani. Il film è una commedia satirica su un ipotetico complotto della Cia per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un

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Sacramento – La Corea del Nord ha vinto la prima guerra cibernetica della Storia post-internazionale, la prima del Sistema Transnazionale. Sony Pictures Entertainment (SPE) infatti ha ceduto alle minacce seguite ai cyber attacchi – iniziati lo scorso 24 Novembre – annullando la distribuzione del film ‘The interview‘. Minacce che – fanno sapere fonti anonime concordanti sia dell’amministrazione americana che della multinazionale dell’entertainment – sarebbero state “in stile 11 settembre 2001” verso le sale cinematografiche che avrebbero programmato la pellicola.

Questo ha spinto le principali catene di sale statunitensi ad annullare la programmazione del film, prevista all’inizio dal giorno di Natale. “Siamo profondamente addolorati per questo sfacciato sforzo di impedire la distribuzione di un film, che danneggia la nostra compagnia, i nostri impiegati e il pubblico americano“, riporta una nota della SPE dalla sede di Culver City, in California.

Il film è una commedia dal tono satirico che racconta un complotto della Cia per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un. Dopo la diffusione della programmazione dell’opera, Sony è stata al centro di una 20141218-economist_cyberwar-220X290bufera mediatica dopo l’attacco cibernetico subìto il 24 Novembre scorso ad opera di hacker, le cui tracce portano direttamente ai centri di Pyongyang. A seguito di quell’attacco, gli incursori cibernetici hanno diffuso dati sensibili ed email private dei dipendenti della Sony, alcune delle quali contenevano commenti imbarazzanti su star del cinema e sul presidente Barack Obama. Dopo questo attacco, si sono susseguite sul web minacce di attentati dirompenti contro Sony e contro le sale che avessero proiettato il film.

La filiera cinematografica ha chiesto alla Sony il ritiro del film, dopo le segnalazioni e le pressioni dell’FBI, che ha compiti di intelligence interna negli Stati Uniti. “Sony non ha per il momento alcun piano futuro per quel che riguarda la sua distribuzione“, ha dichiarato una portavoce della conglomerata del gruppo giapponese Sony, che ha in carniere i brand Columbia Picture, acquisita nel 1989, e TriStar Picture che era già controllata dalla Columbia. Le dichiarazioni del gruppo dalla sede di Culver City lasciano aperte varie possibilità, tra cui quelle di una distribuzione nel 2015 o, più probabile, la programmazione nelle reti via cavo on-demand, per cercare di recuperare quanto più possibile dei 44 milioni di dollari investiti per produrre la pellicola.

Secondo il New York Times, la Central Intelligence Agency e il Consiglio di Sicurezza Nazionale ritengono che il cyber-attacco contro la sony abbia una chiara matrice nordcoreana e, in particolare, sia stato perpetrato dai membri di un fantomatico gruppo chiamato “Guardiani della Pace“, un gruppo afferente ai servizi esteri di Pyongyang, che però nega il proprio coinvolgimento, anche se ha definito il film “un atto di guerra”.

La Casa Bianca invece sta ancora valutando se e come rendere pubblica l’accusa di coinvolgimento nordoreano, che sarebbe un atto di guerra esplicito passibile di sanzioni delle Nazioni Unite, per quanto possano essere efficaci le sanzioni contro un regime che sembra impermeabile a qualsiasi influenza esterna (eccetto quelle del senatore Antonio Razzi, ovviamente). Sulla questione poche le voci ufficiali, ma Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha dichiarato che Obama “sta valutando la reazione da mettere in campo“.

Per la prima volta nella storia, uno Stato riesce a censurare un’opera dell’arte (bella o brutta che sia) in un altro Stato, con ripercussioni gravissime sulla libertà di espressione – garantita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 – e con possibili ripercussioni di preoccupante rilevanza.

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