Conversioni forzate all’induismo in India: rinviate a dopo Natale, ma non cancellate

Cristiani e musulmani subiscono il settarismo del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), che fa un passo indietro tattico per non interferire con la sessione parlamentare federale in corso, ma promette di convertire 5mila famiglie cristiane e musulmane “entro la fine dell’anno”. L’opposizione chiede al Primo Ministro Noda di esprimersi contro il progetto, ma il partito di maggioranza si oppone

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New Delhi – Solo un branco di pericolosi incompetenti come i membri del governo Renzi possono aver fiducia nelle capacità di comprensione del governo federale indiano, guidato da Narendra Modi per risolvere la controversia che vede opposta l’Italia all’India.

Nonostante la pressione dei partiti dell’opposizione, il Primo Ministro non interverrà in Parlamento sui casi di conversione forzata perpetrati da alcuni gruppi nazionalisti indù del Paese. E la reazione più significativa è stata quella della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), un gruppo paramilitare radicale indù, che ha subito confermato di non aver cancellato le conversioni in programma ad Aligarh nello Stato dell’Uttar Pradesh. Solo un rinvio tattico per evitare un fastidioso intrecciamento con la sessione parlamentare e un rinvio a fine anno, dopo Natale. 

La questione è arrivata agli onori della cronaca dopo la conversione all’induismo di circa 300 musulmani in cambio di cibo e soldi, un fatto che ha impegnato l’opposizione in una interrogazione parlamentare attraverso cui ha puntato il dito contro il partito ultra-nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp), che esprime il governo federale di Narendra Modi. In effetti, il Bjp è legato a filo doppio a gruppi come la Rss o il Bajrang Dal, artefici di violenze contro le minoranze etnico-religiose del Paese.

Secondo indiscrezioni locali, il 15 dicembre scorso Modi avrebbe incontrato in segreto alcuni membri del partito, chiedendo loro di non cedere alle pressioni dell’opposizione. “Noi [il governo, ndr] non abbiamo fatto alcun errore. Perché dovremmo sentirci in colpa?“, ha rivelato una fonte citata dall’Hindustan Times. Per aggravare la situazione, Modi avrebbe dato istruzione ad alcuni collaboratori di partito di raccogliere informazioni da usare contro l’opposizione. Un fatto inaudito in una democrazia, ma l’India sembra incanalata verso un regime autoritario di spiccata matrice fondamentalista indù.

Modi e il BJP temono che nella sessione parlamentare invernale in corso nel Parlamento federale indiano, l’opposizione riesca a interrompere il processo di riforme politiche, che per adesso sono state frenate.

Anche per questo il Dharm Jagran Samiti, gruppo affiliato alla formazione paramilitare Rss, aveva fatto trapelare la cancellazione della cerimonia di ghar wapsi (“ritornare a casa”), il progetto di riconversione delle minoranze all’induismo.

Tuttavia, uno degli organizzatori della cerimonia di conversione forzata ha successivamente puntualizzato che la manifestazione – in origine prevista ad Aligarh il giorno di Natale – “è stata rimandata, non cancellata” e che la conversione forzata di centinaia di migliaia di cristiani e musulmani avverrà entro la fine del 2014.

Il BJP di Narendra Modi ha provato a prendere le distanze da queste conversioni forzate, che contravvengono ogni diritto umano. Ma i tentativi di simulare questa dualità di interpretazione si sono infranti sul muro della realtà e delle dichiarazioni di propri esponenti, come Yogi Adityanath, un parlamentare del BJP eletto in Uttar Pradesh, il quale ha dichiarato di essere pronto a partecipare alla cerimonia;  o come Devraj Singh, il presidente del distretto, che ha spiegato “non stiamo allestendo questa cerimonia, ma se gli organizzatori – incluso il Bajrang Dal – cercano il nostro aiuto in tal senso, noi faremo senz’altro il possibile per aiutarli“.

(Credit: AsiaNews)