Irlanda, donna clinicamente morta aspetta un bambino, ma la Corte Suprema sancisce: “staccate la spina”

Mantenere i supporti vitali significa “privare la donna della dignità nella morte”. Il caso fa discutere e richiama alla memoria 3 storie italiane a lieto fine. Tutte a Milano, l’ultima prima di Natale all’ospedale San Raffaele

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Dublino – Un giudice di Dublino ha autorizzato l’interruzione dei supporti vitali per una donna di quasi 30 anni in morte cerebrale dal 3 dicembre scorso, ma incinta alla diciottesima settimana di gestazione. Nonostante il feto fosse vivo, i familiari della donna avevano chiesto il distacco dei macchinari. Davanti al no dei medici che temevano conseguenze legali, il caso è stato sottoposto alla Corte Suprema che ha deciso di accogliere la richiesta dei parenti della giovane, già madre di due figli, poiché secondo il parere degli esperti le possibilità di sopravvivenza per il bimbo sarebbero basse.

Mantenere e proseguire i supporti vitali significherebbe privare questa donna della sua dignità nella morte“, recita la sentenza. Inoltre, con la continuazione della gestazione anomala “si sottoporrebbero il padre, il marito e i figli a uno stress inimmaginabile, in un futile esercizio cominciato solo per il timore, da parte dei medici, di incorrere in conseguenze legali“. Il ministro della Sanità irlandese, Leo Varadkar, ha assicurato che analizzerà attentamente la sentenza e, rivolgendo le condoglianze alla famiglia della donna, ha chiesto il rispetto della privacy.

Il caso, riportato sui media internazionali, ha già iniziato a far discutere e richiama alla memoria una vicenda italiana conclusasi nei giorni scorsi con un altro finale, più lieto. Il 18 dicembre scorso, all’ospedale San Raffaele di Milano, è nato infatti il figlio di una donna in stato di morte cerebrale, che i medici hanno mantenuto attaccata alle macchine per far proseguire la gravidanza fino a che il feto fosse abbastanza maturo da poter venire alla luce.

Milanese, 36 anni, la donna era stata colpita da un’emorragia cerebrale mentre si trovava alla ventitreesima settimana di gestazione ed era stata ricoverata nel Reparto di Neuro Rianimazione dell’Irccs di via Olgettina, dove per 9 settimane il suo corpo ha ricevuto supporti respiratori, cardiocircolatori e nutrizionali con l’obiettivo di raggiungere almeno la 28^ settimana di vita fetale. Arrivati alla 32^, i medici hanno effettuato il cesareo, facendo nascere il bambino, del peso di 1,8 chilogrammi e in buone condizioni generali.

Il capoluogo lombardo, nel 2006 e nel 2010, era stato al centro delle cronache per altre due vicende simili di cui si erano occupati i medici dell’ospedale Niguarda. Due donne clinicamente morte hanno fatto da ‘incubatrici’, tenute attaccate alle macchine per consentire la nascita di una bimba e un bimbo, che oggi hanno rispettivamente otte e quattro anni e stanno bene. 

(Adnkronos)