La Top 20 del 2014 – Il meglio dell’anno cinematografico (Prima Parte)

Ripercorriamo il 2014 al cinema, dalla 20ª alla 11ª posizione nella nostra Top 20

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Gela – Com’è ormai consuetudine, stiliamo una lista dei migliori venti film di questa annata cinematografica, la quale, in barba a tutti coloro che continuano a decretare la morte della settima arte, ha continuato a regalare grandi soddisfazioni. Quello appena trascorso è stato, lo possiamo dire a gran voce, l’anno dei grandi autori (hollywoodiani e non) che con il loro tocco magico riescono ancora a imporsi alle giovani promesse (che pure non mancano).

Per la Top 20 abbiamo preso in esame solamente quelle pellicole che sono approdate nelle sale italiane nel 2014 (quindi anche film con anno di produzione diverso da quello attuale), in più troveranno spazio anche la “Delusione dell’anno” e il “Film inedito” (ovvero il film a nostro parere migliore che non ha ancora trovato un distributore nel nostro paese).

Detto questo, occorre specificare che i venti film che compongono questa selezione sono tutti (a detta di chi scrive) grandi film e che il fatto che occupino una posizione precisa in una vera e propria classifica non è altro che un giochino del tutto soggettivo e, perché no, persino malizioso.

Per i film che invece usciranno da noi l’anno prossimo, dedicheremo uno speciale apposito.

  1. Oculus, di Mike Flanagan

La dimostrazione di come l’horror può e deve continuare a essere rigorosamente di serie B. Quello che è indispensabile? Un’idea solida, una messa in scena accurata e una regia che crei tensione, più che vero e proprio orrore. Il film di Mike Flanagan dimostra di possedere tutte le qualità sopraelencate, con l’aggiunta di un utilizzo del montaggio molto originale e funzionale ai fini della narrazione.

  1. The Raid 2: Berandal (Serbuan maut 2: Berandal), di Gareth Evans

Il regista aveva in mente questa trama precisa per il suo The Raid originale, ma per motivi di budget aveva dovuto arrangiarsi altrimenti e con una storia più “piccola”; visti gli ottimi risultati di pubblico e critica ha tenuto fede al suo impegno e ha trasformato quell’idea in un sequel (più ideale che diretto), dimostrando per la seconda volta consecutiva una visione lucida e smaliziata di regia in cui ci si perde anche grazie alle splendide coreografie dedicate ai combattimenti. Imperdibile per gli amanti del genere.

Mia Wasikowska in "Maps to the Stars"
Mia Wasikowska in “Maps to the Stars”
  1. Maps to the Stars, di David Cronenberg

Chi scrive non ha amato questo ventunesimo lungometraggio del regista canadese, ma è perfettamente consapevole che anche il film meno riuscito della sua filmografia possa entrare senza problemi di sorta in questa classifica. Perché dentro a Maps to the Stars troviamo tutta la sua poetica, negli ultimi anni estremizzata stilisticamente come mai prima d’ora. Cronenberg porta avanti un discorso che, se in Cosmopolis era tutto (o quasi) metaforico, qui viene sbattuto in faccia allo spettatore con intenzione e senza permesso. Un film che non cerca di essere cattivo, ci è nato.  

  1. Nymphomaniac: Vol. I & II, di Lars Von Trier

Il cinema di Lars Von Trier poteva essere odiato o amato, ed entrambe le parti avrebbero potuto sostenere le loro tesi con pari dignità. Con quest’ultimo lavoro, suddiviso in due parti per ragioni commerciali (e per evitare un montaggio assassino) mette subito in chiaro che quella regola ha ormai perduto la sua legittimità. È impossibile negare infatti che il regista danese abbia raggiunto una maturità tematica e stilistica inattaccabile; si potrà essere affascinati o meno dalle sue immagini, ma in barba alla sua recente/perenne depressione Lars Von Trier continua a regalare grande cinema.

  1. Frank, di Lenny Abrahamson

Alla sua quinta regia Lenny Abrahamson mette in scena il delirio della creatività che spesso fa rima con instabilità mentale, così come la storia della musica (e non) ci ha insegnato (Syd Barrett per citarne uno). Come i personaggi da lui descritti anche il film non vuole avere nulla di conciliante per lo spettatore, ma va dritto per le proprie regole, che possono piacere oppure no. Avvalendosi di una miracolosa performance di Michael Fassbender e il suo capoccione, e aiutato anche da un cast completamente ispirato.

  1. Ida, di Pawel Pawlikowski

È il film che con ogni probabilità porterà a casa la statuetta per il Miglior film straniero tra un paio di mesi. Il regista polacco, trapiantato nel Regno Unito, mette in scena attraverso una ricchissima selezione di autentici quadretti essenziali e minimalisti una storia non molto originale, ma densa di significato. Pawlikowski indugia sulle sue due protagoniste (formidabili), non giudica, racconta con distacco, preferendo far parlare i paesaggi (strizzando così l’occhio ad Antonioni).

  1. All Is Lost – Tutto è perduto, di J. C. Chandor

Dopo aver raccontato, in anticipo su tutti, e con uno stile originale quanto riconoscibile l’odierna crisi economica globale (Margin Call), Chandor regala a Robert Redford l’ultima grande performance della sua carriera. Riservando al suo personaggio solo qualche parola (tra cui un’imprecazione da annali – non lontana da quella ben più struggente di Philip Seymour Hoffman in A Most Wanted Man), ma una serie di movimenti del corpo e un lavoro sull’espressione che si caricano di significati metaforici durante tutta la durata della pellicola; compreso un magnifico e aperto finale.

Guy Pearce e Robert Pattinson in "The Rover"
Guy Pearce e Robert Pattinson in “The Rover”
  1. The Rover, di David Michôd

Sono pochi quei film in grado di raccontare un’umanità in pieno  smarrimento post-apocalittico mantenendo uno stile riconoscibile e una messa in scena pressoché priva di difetti. È quanto riesce a fare il regista che già aveva stupito con Animal Kingdom da cui prende il miglior attore (Guy Pearce) e lo trasforma in un essere aberrante, simbolo di tutto quello che di animale è insito nella natura umana (lati positivi compresi). Perché per il suo personaggio, nonostante un’inevitabile empatia di fondo, non si può provare mai sincera comprensione o indulgenza. Come se lo spettatore sapesse che quanto sta vedendo sullo schermo potrebbe capitargli da un giorno all’altro.

  1. L’amore bugiardo – Gone Girl, di David Fincher

David Fincher ha fatto il miracolo. Non tanto tenendo conto della sua filmografia, che pure riserva titoli migliori di quest’ultimo, quanto della sceneggiatura con cui aveva a che fare; affidato alla stessa scrittrice del romanzo di partenza, il regista di Zodiac trasforma quel materiale troppo grezzo e spesso sconclusionato in un nuovo paradigma del thriller, attento all’indagine più riconoscibile e a quella meramente sociologica e di costume. Una sorta di guerra dei Roses dell’era post (The) Social Network.  

  1. Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit), di Jean-Pierre & Luc Dardenne

Un film che della crisi economica se ne infischia altamente, rimarcando come quella umana sia senza dubbio la più urgente di tutte. La società che si dipana davanti ai nostri occhi è così meschina, edonista e sull’orlo del precipizio che l’anormalità nelle relazioni è diventata la regola. Il tutto narrato con un tocco delicato e la freschezza di due registi più giovani che mai (nonostante l’anagrafe), e una Marion Cotillard vera erede di un certo cinema neorealista che fa piacere perduri ancora.

Marion Cotillard in "Due giorni, una notte"
Marion Cotillard in “Due giorni, una notte”

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