Dai fondali di Gela riaffiorati 39 “lingotti” di oricalco risalenti al VI Sec. avanti Cristo

L’ultima sensazionale scoperta archeologica ribadisce il ruolo strategico dell’antica colonia rodio-cretese, oggi al centro della cronaca post-industriale italiana

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Gela – Prezioso ritrorvamento sui fondali di Gela. Ben 39 “lingotti” di oricalco – una lega di rame e di zinco, inferiore, nell’antichità, solo a oro e argento – una macina in legno e una statuetta costituiscono il tesoro databile al VI sec. a.C. che i fondali di Gela hanno restituito due giorni fa.

Grazie al lavoro della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza, della Sovrintendenza del Mare e dell’instancabile Franco Cassarino – responsabile della sezione locale “Mare Nostrum” dell’Archeoclub d’Italia – e in collaborazione con l’Università di Messina, i preziosi materiali sono stati recuperati e sottoposti ad analisi con fluorescenza a raggi X dal dottor Pennetta, rivelando una presenza di zinco al 20% e di rame all’80% nonché una tecnica di lavorazione del pregiato metallo – proveniente dalle montagne dell’Anatolia – particolarmente avanzata.

Il carico, probabilmente finalizzato alla creazione di oggetti di valore e alla coniazione di monete, rientra nel contesto del relitto di una nave denominata “Gela 3” che, a causa della perenne mancanza di fondi, non potrà essere 20141113-Banner-Totelia(300pxx250px)biancorecuperata così come gli stessi reperti – che rimarranno al Museo Archeologico Regionale di Gela – non potranno essere restaurati. Sebbene l’archeologo Sebastiano Tusa – Soprintendente del Mare – abbia più volte lanciato la proposta della creazione, a Gela, di un centro per il restauro del legno bagnato e abbia anche, con ottimismo, prefigurato la possibilità di un’attenzione sul territorio da parte di fondazioni internazionali, ad oggi, tutto tace.

I continui ritrovamenti a largo della costa geloa dimostrano con forza la ricchezza e il ruolo di quella che, un tempo, fu una delle colonie più importanti della Sicilia – in grado di fondare Agrigento e di stimolare la crescita politico-culturale di Siracusa – e il cui porto commerciale fu punto strategico per la madrepatria e per i commerci nel Mediterraneo. Approdo a cui cercò di giungere anche un’altra imbarcazione, rinvenuta a 800 metri dalla costa nel tratto antistante l’emporio sempre della colonia rodio-cretese (Bosco Littorio), recuperata con due campagne di scavo nel 2003 e nel 2008, sottoposta a un lungo restauro tra Italia e Gran Bretagna e che, solo di recente, è rientrata al Museo Archeologico Regionale di Gela senza essere mai esposta.

20141230-golfo-di-gela-655x436La nave trasportava numerose merci di pregio, databile intorno ai primi decenni del V Sec. a.C.: anfore per il vino e per l’olio, oggetti di produzione attica, arule fittili – piccoli altari votivi – un cinghialetto, il frammento di un flauto fittile probabilmente usato per pratiche religiose svolte a bordo, canestri intessuti con fibre per le derrate alimentari, uno scandaglio di piombo e materiali di uso quotidiano come tazze, pentole, coperchi, brocche.

Un relitto che, per dimensioni e stato di conservazione, è da reputare unico tra quelli finora rinvenuti nel
Mediterraneo,
ma che aspetta di poter essere mostrato al mondo dal momento che non esiste, a Gela, un luogo adatto a accoglierlo. Un Museo della Navigazione che la città attende da anni, rimbalzata tra rimandi burocratici e silenzi politici, e il cui bando per i lavori è stato pubblicato poco prima di Natale tanto da sperare che il 2015 possa essere l’anno di partenza di un progetto che, se non ci saranno intoppi, dovrebbe concludersi in 3 anni.

Seppur sia illusorio e avventato pensare che un museo possa essere la chiave di volta per una città che, da anni, è in bilico tra una profonda crisi di identità e l’assenza di una programmazione economico-culturale, colpevole, soprattutto, di aver sguazzato incurante nella pozza nera e maleodorante del suo polo petrolchimico, Gela può ancora credere in futuro diverso, forte del glorioso passato ma capace di modellarsi sulla creativa contemporaneità, non abbozzata da mediocri prestigiatori ma definita da uomini e donne spinti da una visione ambiziosa e appassionata di quella terra in cui Eschilo morì.

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