Jihad e rischio “guerra civile”: atti anti-islam in Francia dopo strage Charlie Hebdo. Rispolverare “Stay Behind”

Le reazioni della gente, impaurita dall’islamismo aggressivo e jihadista, che non separa religione e Stato, pongono di fronte ai decisori politici l’incombenza di trovare gli strumenti di prevenzione per evitare il montare di uno scontro di civiltà nelle città europee, ossia azzerare il rischio che si realizzi l’obiettivo dei fondamentalisti islamici 

Parigi – Oltre 50 attacchi anti-musulmani sono stati registrati in Francia dall’attentato jihadista contro Charlie Hebdo e l’Hyper Cacher di Place de Vincennes a Parigi. Lo ha annunciato nei giorni scorsi l’Osservatorio contro l’islamofobia del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), la principale rappresentanza della comunità islamica in Francia.

Secondo il presidente dell’Osservatorio, Abdallah Zekri, che ha citato fonti del ministero ministero dell’Interno, azioni violente (spari, granate lanciate…) e minacce (lettere, insulti, ecc.) si sono moltiplicate da mercoledì scorso. È un conteggio parziale, perché in ogni parte della Francia si verificano atti che spesso sfuggono all’immediato conteggio. 

Il dirigente musulmano francese si è detto scandalizzato per la dimensione del fenomeno, che però non ha colpito finora persone con atti violenti, e ha rivolto un appello al Capo del Governo Valls e al ministro dell’Interno Cazeneuve perché si rafforzi “la sorveglianza delle moschee”.

La richiesta è pervenuta il giorno prima che il Governo francese decidesse di schierare oltre 10 mila agenti per proteggere luoghi sensibili in tutto il Paese e oltre 5.000 militari per cinturare con un cordone di sicurezza sinagoghe e le circa 700 scuole ebraiche in Francia. Numeri che dovrebbero far riflettere anzitutto i musulmani perbene, le persone di religione islamica che vivono nel presente, che sentono toccata la propria sensibilità dalle vignette di Charlie Hebdo, ma alle quali mai verrebbe in mente di rivolgere atti violenti verso chicchessia o solo minacciare di farlo.

Numeri che del resto devono fare i conti con quelli confermati dal primo ministro francese Manuel Valls, il quale ha reso noto nei giorni scorsi che 1.400 francesi o persone residenti in Francia – ma di altra nazionalità – hanno già raggiunto o hanno manifestato l’intenzione di raggiungere la Siria e l’Iraq per affiancare l’ISIS (Islamic State of Iraq and al-Sham) nel jihad contro gli infedeli.

Se tre persone, con un minimo di organizzazione, sono riuscite a mettere a ferro e fuoco mezza Francia, dando filo da torcere a 90 mila agenti della sicurezza (visibile), tra poliziotti, gendarmi e membri delle forze speciali della Police National e della Gendarmerie, lo scenario del rientro in patria di un terzo di costoro (ipotizziamo 466 jihadisti foreign fighters) è da brivido.

Nei giorni scorsi sono fioccate le critiche feroci alla polizia e alla gendarmeria francese, spesso provenienti anche da chi in genere si occupa di calcio o di freccette, ma nell’occasione si è trasformato in esperto di terrorismo, di azioni speciali, di operazioni tattiche: è l’Italia… (il Paese con la minore sensibilità per la sicurezza, latu sensu, dell’Occidente).

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Di fronte a questi numeri potenzialmente dirompenti, analisti di sicurezza internazionale hanno rilevato correttamente che la prevenzione può ridurre il rischio di attacchi di guerriglia urbana devastanti, ma non può azzerare questo pericolo al 100%. Un ragionamento che non vale solo per la Francia, ma per tutti i Paesi dell’Unione Europea, sia considerati individualmente che come unico blocco di comunità di interessi (in coerenza con lo spirito della moneta comune).

Quindi, oltre a fermare l’emorragia di personale dal comparto sicurezza (e alla mortificazione in termini di stipendi ridicoli) – razionalizzando al massimo l’efficienza, l’interoperabilità e la gestione sul terreno urbano ed extraurbano (si pensi alle centrali operative, ai numeri di emergenza non sempre reattivi con immediatezza, etc) – occorre dare alla struttura di intelligence nuova linfa, attingendo all’unico bacino vicino quanto più possibile ai rischi: la cittadinanza (musulmana e non).

Il tema della partecipazione e della collaborazione della cittadinanza leale ai valori costituzionali dello Stato nel processo di potenziale reazione ad azioni belliche è già stato affrontato nel periodo della III Guerra Mondiale (ossia la Guerra Fredda) attraverso la struttura definita “Stay Behind”, ridenominata in Italia “Gladio”. Gladio era una struttura di intelligence sussidiaria, incaricata del primo intervento di contro-guerriglia sul territorio in caso di invasione nemica (in quel caso sovietica, che non era un pettegolezzo da comari).

Occorrerebbe a nostro avviso riprendere il concetto su cui era stata organizzata Stay Behind, perché la chiave della prevenzione è la partecipazione alle azioni anti-terrorismo e contro-terrorismo dei musulmani perbene, che andrebbero cooptati in una struttura di monitoraggio territoriale e di primo intervento in situazioni di crisi, con analisi continua della loro lealtà costituzionale e adesione ai principi liberali occidentali. Quindi, in coerenza con la struttura sussidiaria e proto-federale europea, andrebbe implementata una sezione sussidiaria di intelligence territoriale, in grado di avere riferimenti periferici efficaci, efficienti, leali (monitorandone, ripetiamo, la lealtà). Una forza silenziosa e democratica, silenziosa e al servizio delle libertà.

Questa proposta probabilmente creerà polemiche, ma con le polemiche non si affrontano i problemi di una minaccia che rischia di travolgere il mondo libero, di farlo regredire di 300 anni in termini di esercizio dei diritti individuali e di lasciare spazio ai Dottor Stranamore che l’umanità conserva nelle sue fogne. Come dimostra l’insorgenza islamista che si pone, ogni giorno con maggiore violenza, fuori dall’Umanità.

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