Buon lavoro presidente: lo sia di tutti gli italiani, lo sia per tutti gli europei

Sergio Mattarella ha giurato ed è diventato il XII presidente della Repubblica Italiana. I primi atti fanno sperare in un Settennato che riporti al centro in Italia il dibattito culturale e politico il processo di integrazione europea, con rinnovata verve federale, e rassereni il Paese in cui albergano cause, effetti e soluzioni della e per la nostra crisi

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Non avrei votato Sergio Mattarella, se i cittadini italiani – ancora tenuti in uno stato di minorità giuridica elettorale per la scelta del Capo dello Stato – avessero potuto votare. Il mio voto sarebbe andato ad Antonio Martino, candidato di bandiera di una bandiera ammainata senza che venisse mai sventolata seppur per atto (politico) dimostrativo.

E tuttavia appartengo a quella corrente culturale patriottica – di una Patria che è l’Italia, ma anche l’Europa illuminata dei Padri Fondatori dell’unità del Continente post Seconda Guerra Mondiale – per cui un presidente diventa di tutti un attimo dopo l’elezione.

Salto sul carro del vincitore? No, rispetto istituzionale pregiudiziale: ossia preventivo a un giudizio politico che non potrà essere formulato se non quando si vedranno gli atti con cui Sergio Mattarella condurrà la Presidenza della Repubblica.

I primi atti – le poche parole sentite verso i concittadini che soffrono e sperano, la visita alle Fosse Ardeatine e quel messaggio scritto per l’unità dell’Europa contro il nuovo nazismo dell’autoproclamato e sedicente Stato Islamico – fanno ben sperare.

Da Mattarella molti si attendono la stabilizzazione della transizione italiana con il mite consiglio (moral suasion) verso riforme coerenti con la tradizione occidentale di cui l’Italia è parte culturalmente importante. Riforme che vadano nel senso del bipolarismo tra parti alternative, seppure unite nei principi fondamentali.

Tra questi principi fondamentali e fondanti della democrazia italiana c’è l’Europa, l’europeismo, l’avvio del processo di integrazione europea che – dopo secoli di tentativi militari e alla fine del più tragico tentativo di “unificazione forzata” per mano nazista – fu avviato nel secondo dopo guerra. Il fine ultimo fin dall’inizio del processo era già la proclamazione dello Stato Federale Europeo che poggiasse su una unificazione che rispettasse la storia dei singoli Stati nazionali, ormai verso l’esaurimento della forza propulsiva storica in uno scenario mondiale segnato dalla globalizzazione della paura, ma anche dalla globalizzazione delle opportunità.

Il cattolicesimo democratico fu uno dei retroterra culturali su cui si poté ricostruire l’Europa, a partire dalla presa d’atto di quell’esaurimento del ruolo degli Stati nazionali uti singuli e della grande opportunità – nel mare di sangue e dolore della Seconda Guerra Mondiale (o del II tempo della II Guerra dei Trent’anni, come alcuni storici tendono a guardare al periodo che va dal 1915 al 1945) – che la sconfitta presentava: mettersi insieme per risolvere pochi problemi strategici, ma concreti (funzionalismo), ma pensare già all’approdo finale.

Oggi più che mai, sotto la pressione delle emergenze economiche e sotto la minaccia dell’imperialismo jihadista di matrice islamista, servono gli Stati Uniti d’Europa. Serve, è una necessità, abbandonare ogni esitazione e prendere atto che lo Stato nazionale come lo abbiamo conosciuto dal 1648 (Pace d Westfalia) al 1945 non esiste più, se non in forma di vuoto totem incapace di agire.

Lo Stato federale europeo necessiterà di una classe dirigente preparata, consapevole della dimensione dei problemi e della straordinaria carica di proposte che l’europeità può fornire al mondo per risolvere i problemi comuni.

Una spinta decisiva perché si concluda il processo e si proceda all’approdo federale europeo è quello che personalmente mi aspetto da Sergio Mattarella. Al quale non faremo mancare le critiche, se sarà il caso, ma al quale oggi non possiamo che augurare di essere non solo il presidente della Repubblica di tutti gli italiani, ma la personalità che marchi in modo decisivo e positivo la storia comune europea.

E che richiami la coscienza di tutti sul fatto che la crisi italiana ha in Italia le cause e gli effetti, ma anche le soluzioni per trarre il Paese fuori dall’immobilismo. Franco Modigliani in una intervista al ‘Corriere della Sera’ nel 1998 espresse la convinzione che un’Italia funzionante avrebbe potuto essere anche più forte degli Stati Uniti, per le straordinarie ricchezze materiali e intellettuali del Paese. 

Lei è chiamato a fungere da catalizzatore perché tutto questo bagaglio di grandezza italiana.

Buon lavoro presidente.

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