A Firenze in mostra ‘Alchemy’ di Jackson Pollock, ma solo per due giorni

In attesa della mostra alla Fondazione Guggenheim di Venezia, l’Opificio delle Pietre Dure espone uno dei primi capolavori realizzati con la tecnica del dripping dal padre dell’action painting

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Firenze – «Quando sono “nel” mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del “familiarizzare” che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine, perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c’è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene». Così Jackson Pollock, del quale sarà visibile solo per due giorni l’opera Alchimia (Alchemy, 1947), il 7 e l’8 febbraio prossimi – dalle ore 9 alle 12 e dalle 14 alle 18 – nella sede dell’Opificio delle Pietre Dure presso la Fortezza da Basso di 20141113-Banner-Totelia(300pxx250px)biancoFirenze.

Una anteprima che precede l’esposizione nella sede della Fondazione Guggenheim di Venezia, dove il giorno di San Valentino si inaugurerà la mostra principale e in prospettiva della quale l’olio è stato sottoposto, per più di un anno, a un delicato intervento di restauro a cui l’Opificio, da sempre occupato nel recupero di opere classiche, si è accostato con grande umiltà.

Come dichiarato da Luciano Pensabene Buemi – curatore insieme a Roberto Bellucci dell’esposizione veneziana – l’opera necessitava di un restauro nonostante i soli 70 anni di vita poiché mentre «nell’arte classica c’era una tecnica codificata, nella contemporaneità è quasi scomparsa. Spesso l’artista oggi usa materiali inconsueti, che possono apparentarsi male fra loro. Dobbiamo inoltre pensare che Alchimia si trovava in una casa, quella di Peggy, dove si mangiava e si fumava, non in un museo».

Una riflessione cui va aggiunto che i colori industriali utilizzati da Pollock contenevano acidi grassi che, in alcuni punti della tela, non hanno consentito la completa asciugatura facendo sì che l’opera divenisse una sorta di essere vivente ancora capace di trasformarsi, di cambiare, di respirare.

Nato da un telaio per ricamo – come si evince da una lettera scritta alla madre nel 1947 – Alchimia (Alchemy) è uno dei primi capolavori realizzati con la tecnica del dripping che consisteva nella colatura – o sgocciolamento – della vernice sulla tela – posizionata orizzontalmente sul pavimento – attraverso dei bastoncini o, nel caso del colore bianco, direttamente dal tubetto commerciale.

Scardinando tutte le regole della tradizionale pittura da cavalletto, l’artista statunitensePOLLOCK, STUDI SU 'ALCHIMIA' PER SVELARE MONDO 'DRIPPER' interpretò le nozioni surrealiste della casualità e dell’automatismo usando i movimenti del proprio corpo per guidare la distribuzione cromatica. Ecco che la linea non assume più forme precise ma si dispone sulla tela vuota in grumi e pozze, filamenti ora sottili ora pastosi, ora veloci ora lenti, come in una danza primitiva e istintiva.

Osservare le opere di Jackson Pollock significa ripercorrere idealmente i movimenti che il suo corpo fece per realizzarle, ascoltando e interpretando i sussulti del dipinto considerato una realtà indipendente dall’artista che, nei panni di un moderno Michelangelo, ebbro, libera la materia, facendo affiorare la verità che in essa è celata. Come uno sciamano, Pollock girava attorno alle grandi tele per trovare un’empatia, facendo oscillare le proprie membra come strumenti nelle mani di quel “non finito” che lo guidava lungo il disegno attraverso la vernice capace di divenire segno, stringa e solco in un violento equilibrio di forze.

Sostenuto fortemente dalla mecenate Peggy Guggenheim – spinta verso il suo genio creativo da alcuni amici tra cui Mondrian – che espose e comprò regolarmente le sue opere non ancora accettate dal pubblico, dopo la morte nel 1956 a causa di un incidente stradale, Pollock divenne il simbolo dell’action painting, la cosiddetta pittura d’azione degli espressionisti astratti.

La sua breve vita, costellata di eventi drammatici, è oggi racchiusa in quell’inconfondibile groviglio di linee e schizzi di raffinata eleganza cromatica in cui si legge chiaramente l’impeto tumultuoso di un artista che, travolto dalle sue stesse creazioni, si abbandonò a esse e lasciò che l’angoscia esistenziale dell’essere umano divenisse arte, divenisse armonia.

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INFORMAZIONI: Opificio delle Pietre Dure, Fortezza da Basso, Via degli Alfani, 78, Firenze | Tel. 055 26511 | opificiodellepietredure.it | Esposizione di ‘Alchemia’ (Alchemy, 1947) di Jackson Pollock, 7/8 Febbraio 2015. Orario di apertura: 9.00 – 12.00 / 14.00 – 18.00

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