Jihadista australiano pentito racconta alla CBS: “Troppa violenza, ecco perché sono fuggito dallo Stato Islamico”
Arrivato nel califfato per “vivere in una terra governata in base all’Islam”, Abu Ibrahim si è poi scontrato con le esecuzioni di ostaggi innocenti. Non contesta però la polizia religiosa e l’uccisione di “adulteri”. “È crudele – dice – ma è la Sharia”, mostrando la verità: il problema è la lettura non contestualizzata del Corano e della Sunna. A intervistare l’ex terrorista islamico un’esterrefatta Clarissa Ward
Canberra – La storia di un jihadista islamico pentito, ma con qualche lato oscuro, è stata al centro di un servizio della Cbs News. Un jihadista particolare, perché l’uomo è un australiano convertito all’islam, che si chiama Abu Ibrahim. Intervistato da Clarissa Ward, ha descritto le esecuzioni, la brutalità e l’orrore che contraddistinguono l’operato del cosiddetto e autoproclamato Stato Islamico e che spingono sempre più militanti a rinunciare al jihad e a fuggire dal sedicente ‘califfato’.
Abu Ibrahim è un ‘disertore’ e per questo è automaticamente un dead man walking, un morto che cammina, che nel corso dell’intervista ha descritto come si è arruolato al sedicente Stato Islamico, decidendo successivamente di abbandonare l’organizzazione jihadista sunnita, dopo aver assistito alla decapitazione di ostaggi occidentali “non combattenti e quindi innocenti“.
Abu Ibrahim si era arruolato perché voleva vivere in una regione governata in base ai principi dell’islam e con legge unica la sharia, di cui peraltro riconosce legittimità. Tuttavia, anche un islamista come lui a un certo punto si è reso conto dell’estremismo dei jihadisti agli ordini di Abu Bakr al-Baghdadi. “Non condividevo – ha spiegato all’esterrefatta giornalista della Cbs News – alcune delle politiche adottate, come la decapitazione di non combattenti e quindi innocenti“.
“Il motivo per cui sono andato via – ha continuato – è che sentivo che non stavo facendo quello che ero venuto a fare, cioè aiutare il popolo siriano, da un punto di vista umanitario. Ero diventato qualcos’altro e quindi non era più giustificato che io stessi lontano dalla mia famiglia“.
Abu Ibrahim ha spiegato di aver combattuto per sei mesi nelle file del cosiddetto e autoproclamato Stato Islamico. “Molti, quando arrivano, sono entusiasti di quello che hanno visto online o su YouTube – ha dichiarato – Vedono qualcosa di molto più grande di quanto sia in realtà. Non sono tutte parate militari o vittorie“. L’australiano racconta di aver assistito a “crocifissioni” e alla lapidazione di presunti “adulteri“, azioni barbariche che però non lo hanno sconvolto: “È crudele, è vero – ha ammesso – ma questa è la sharia“. Follia assoluta.
Per l’ex militante del sedicente Stato Islamico, anche la presenza di una polizia religiosa è giustificata, perché “fa da deterrente ai furti o ai comportamenti sbagliati e serve a controllare che non si ascolti musica o che le donne siano coperte in modo appropriato o che gli uomini si facciano crescere la barba“.
Anche l’aspetto riguardante il welfare del cosiddetto Stato Islamico era molto gradito ad Abu Ibrahim, il modo in cui i jihadisti provvedono ai propri uomini, fornendo alloggio, cibo e denaro. “Inizialmente erano 50 dollari al mese – ha spiegato – ma durante l’inverno si arrivava a 100 dollari, per poter comprare abiti pesanti o articoli per la casa. Viene fornito il riscaldamento per ogni casa e le coppie hanno una casa tutta per loro“.
Tuttavia, a non convincere Abu Ibrahim erano invece le esecuzioni di innocenti, soprattutto di ostaggi occidentali che non erano lì per combattere.
Provare a lasciare il sedicente ‘califfato’ non è facile come entrare in Italia dalla Libia e comporta gravi conseguenze per la salute personale: la morte, per esempio. “Le restrizioni per chi vuole andar via ti fanno sentire come in una prigione – ha confermato l’ex jihadista australiano – Non puoi lasciare il paese. Io stesso ho rischiato, se mi avessero preso, di essere arrestato e messo sotto interrogatorio“. Probabilmente decapitato, aggiungiamo.
Nei giorni scorsi in Germania il quotidiano Sueddeutsche Zeitung ha riportato le testimonianze di ‘foreign fighter‘ tedeschi del sedicente Stato Islamico e rientrati in Germania. I loro racconti testimoniano il clima di paura e sospetto, la spietatezza e la ferocia che contraddistinguono le milizie jihadiste, che sequestrano agli stranieri passaporti e cellulari, li picchiano o li uccidono se si rifiutano di consegnarli.
I sospettati di spionaggio vengono torturati e decapitati, mentre chi prova a lasciare il fronte senza il permesso scritto di un emiro viene ucciso immediatamente. Molti vengono sottoposti a brutali prove di coraggio, come uccidere innocenti, solo per dimostrare di essere pronti a eseguire qualunque ordine dei superiori.
Le parole di Abu Ibrahim però sono uno specchio di verità, perché mostrano in modo incontrovertibile che l’islam non è il problema, ma la lettura non contestualizzata del Corano e della Sunna (il complesso dagli atti e dei detti del profeta Mohammed, trasmessi nei singoli ḥadīth o editti) e l’applicazione della sharia in modo altrettanto letterale – e non contestualizzata alla realtà contemporanea e al rispetto dei diritti umani – lo è. Questo lo sforzo dei musulmani moderni e perbene: scindere la morale dalla legge positiva, scoprire Cartesio e separare la religione dallo Stato. Una battaglia mondiale e una rivoluzione vera per far progredire l’intera umanità.
Per inciso, Abu Ibrahim è reo confesso di terrorismo internazionale e rischia l’arresto in base alle leggi australiane.
(Credit: Adnkronos, Cbs News) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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