Indycar, la stagione 2015 si confronta con la novità dei kit aerodinamici. Analisi tecnica

con la collaborazione di Daniele Sanfilippo (@DanSanfy13)

La più nota serie americana di monoposto si corre con una monoposto…italiana, ma da quest’anno saranno ammessi dei kit aerodinamici da applicare ai telai Dallara adottati in regime di fornitura unica. RTurcato83 e Daniele Sanfilippo analizzano la novità

Chevrolet-powered racecars in the 2015 Verizon IndyCar Series wi


Non è solo ora di F1. A fine mese, infatti, con il Firestone Grand Prix Of St. Petersburg riparte anche l’Indycar, la serie americana più importante di monoposto, che si corre su ovali, circuiti stradali tradizionali e tracciati cittadini, che si caratterizza per spettacolo non disgiunto dall’attenzione per la sicurezza.

Quest’anno la serie si caratterizzerà per una novità regolamentare importante, visto che saranno ammessi sviluppi aerodinamici (kit) sul telaio che Dallara fornisce in regime di fornitura unica.

Abbiamo chiesto di scrivere una panoramica di questi kit a Daniele Sanfilippo @DanSanfy13, che da anni segue la Indycar non solo da un punto di vista lavorativo, creando livree per quel mercato, ma anche dal punto di vista tecnico.

Eccovi Immagine in linea 1quindi il Sanfilippo pensiero.

METTETE UN LIMITE A QUEI SOFTWARE!

Quando la macchina prende il sopravvento, non c’è limite al peggio. Senza per forza dover immaginare uno scenario apocalittico tipo Transformers 15 – in cui la terra viene devastata da un esercito di veicoli intelligenti mutanti (veicoli di serie, tra l’altro, ma questo è un altro discorso) – provate a dare uno sguardo quanto è stato prodotto dalle centinaia di ore di elaborazione dati dei software installati nei computer di Honda e Chevy.

Obbligati a lavorare attorno alla safety cell Dallara, al fondo piatto extra large completo di sponsorblocker (quella pinna posizionata davanti alle fiancate) e al pianale dell’ala anteriore, i tecnici di Honda e Chevy hanno potuto sbizzarrirsi, lasciando che i propri elaboratori di fluidodinamica si sperticassero in elucubrazioni degne di un film di fantascienza.

Come spesso avviene in F1, in cui – quando si apre un buco del regolamento – i team più scaltri ci si buttano a capofitto, trovando quel “quid” che magari ti fa vincere il mondiale (vedi Brawn GP nel 2009 e il fondo magico a doppio diffusore) – in IndyCar gli ingegneri si sono ritrovati a poter gestire a piacimento tutte le parti utili della carrozzeria per ottenere il maggior carico aerodinamico possibile. Senza alcun limite.

Il risultato? Una fioritura di ali, alette, alabarde, alianti, alettoni. Esteticamente un disastro, ma sotto il profilo tecnico? Probabilmente ottimo. Sicuramente se, dopo ore di studi di fluidodinamica e probabilmente galleria del vento, i risultati sono quelli rivelati, è perchè quanto è stato montato sulla base della Dallara DW12 una utilità ce l’ha.

Da una prima osservazione, si percepisce subito che la Honda si porta dietro l’esperienza F1. Il triplano anteriore montato sull’ala fissa è di chiara provenienza. Senza andare troppo lontano, date uno sguardo all’ala anteriore della McLaren Honda…

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I gruppi alari posti alle estremità delle ali anteriori dovrebbero avere lo scopo di pulire il più possibile il flusso sulle ruote anteriori e aumentare a dismisura il carico sugli stradali cittadini. Scommetto 10 euro che la prima caution (la neutralizzazione della gara per motivi di sicurezza, dietro la Pace Car, ndr) dell’anno la vedremo al 1° giro della prima gara per rimuovere le alucce dalla pista.

Chevy ci è andata più “soft”, leggera, ma con fantasia. Dovremo aspettare il riscontro della pista per capire se la soluzione adottata dagli americani sia funzionale, nonostante l’assenza delle paratie laterali e un sistema alare nettamente più scarno di quello adottato dalla Honda.

Anche i sidepods, per quanto simili, hanno parecchie differenze. I tecnici Chevy hanno ridotto al minimo l’ingombro, ricavando lo spazio per posizionare una mezza ala a candelabro prima del retrotreno. Honda invece ha seguito la forma originale della DW12, cambiando radicalmente la forma dell’air intake. Anche loro hanno fatto ricorso a un paio di alette di supporto per correggere i flussi verso il retrotreno.

Un retrotreno che strizza l’occhio ai prototipi. Grosso, goffo, ingolfato di ali e altette. Mastodontico quello Honda, con le paratie laterali esagerate e stranamente grezze, più “tecnico” e di ispirazione “Formula Uno” quello di Chevrolet. La ruota posteriore è inghiottita dalla struttura alare.

Per quanto riguarda la gestione dell’airbox, Honda e Chevrolet hanno seguito due strade diverse. I giapponesi si sono lasciati tentare dalla carta F1, proponendo un airbox praticamente ‘smontato’ dalla RedBull. Probabilmente ha due sfoghi verticali, in corrispondenza della pinna. La presenza di molte paratie “verticali” di grosse dimensioni fa supporre l’esigenza di stabilizzare il più possibile la DW12.

Alla luce di tutto quanto ci sembrano evidenti due problemi di fondo:

  1. la DW12 è nata male. L’esercizio di stile di Dallara è stato ottimo dal punto di vista puramente “commerciale”, tenendo in vita la serie con una vettura affidabile, sicura e (più o meno) economica, ma l’assenza di un competitor ha fatto si che non si lavorasse spasmodicamente alla ricerca della prestazione pura. Il risultato è stato equilibrare tutto verso il basso.
  2. senza regole la fioritura di elementi alari era scontata. Aumentando il numero delle superfici si aumenta il carico aerodinamico e di conseguenza ne beneficia l’efficienza generale. Però…

Però il software se ne frega dell’estetica. Se ne frega se il risultato è una accozzaglia di elementi. Se ne frega se quello che metti in pista sembra un auto pronta per Le Mans o per la Pike’s Peak. Se ne frega se quest’anno, molto probabilmente, vedremo le auto più brutte che abbiano mai solcato il Brickyard. Se ne frega.

Ecco perchè è necessario per il futuro mettere limiti a quei software. Limiti dettati dal buon senso o anche, semplicemente, dal senso estetico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – THE WASTEGATE

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