IVGM, scatta dispositivo italiano ‘Mare Sicuro’ nel Mediterraneo, in un quadro giuridico non definito

Dopo l’attentato in Tunisia il Governo trasforma di fatto l’esercitazione ‘Mare Aperto 2015′ in un’operazione militare aero-navale per la vigilanza del Mediterraneo Centro-Occidentale, ma la denominazione è quella utilizzata di consueto per la campagna estiva rivolta alla sicurezza sulle spiagge, condotta ogni anno dalle Capitanerie di Porto. E con quale copertura giuridica? Quali regole di ingaggio? Il Parlamento non dovrebbe pronunciarsi? Regna confusione mentale in via XX Settembre o a Palazzo Chigi non si capisce lo scenario mediterraneo nella sua gravità?

La "San Giusto" è la più moderna delle tre LPD della Classe San Giorgio in servizio (insieme alla 'madre' San Giorgio e alla San Marco)
La “San Giusto” è la più moderna delle tre LPD della Classe San Giorgio in servizio (insieme alla ‘madre’ San Giorgio e alla San Marco)

Roma – La ministra della Difesa ha presentato ieri alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato in seduta congiunta le nuove decisioni in materia di missioni militari internazionali. Al contempo, ha ‘informato’ le commissioni parlamentari della decisione del Governo di trasformare una esercitazione in una missione militare interforze nel Mediterraneo Centro-Occidentale, in cui saranno dispiegate unità degli incursori della Marina Militare (Comsubim), compagnie di fucilieri della Brigata San Marco, quattro unità navali dotate di attrezzature sanitarie, elicotteri, velivoli senza pilota Predator dell’Aeronautica Militare a fini di sorveglianza.

Il nome in codice dell’operazione è ‘Mare Sicuro’: già verrebbe da ridere – se la situazione non richiedesse il massimo della serietà – perché è la stessa denominazione con cui le Capitanerie di Porto denominano la campagna per la sicurezza nelle spiagge che ogni anno impegna i guardacoste per limitare gli incidenti che riguardano i bagnanti.

Del Gruppo Navale che si sta mettendo insieme -stante a quanto ha anticipato oggi pomeriggio l’Adnkronos – dovrebbero far parte una nave da sbarco della classe ‘San Giorgio’ – probabilmente la San Giusto, la più recente e completa delle tre LPD in servizio – una o più fregate e cacciatorpedinieri e 1.000 militari, tra Marina e Aeronautica.

Quale il compito? Intensificare la sorveglianza davanti alle coste del Nord Africa, ma anche incrementare la capacità di proiezione di potenza per tutelare interessi nazionali per proteggere sia cittadini italiani che aziende o infrastrutture in pericolo. Per esempio le piattaforme petrolifere italiane posizionate nel Mediterraneo, non solo nel Golfo della Sirte, ma anche quelle prospicienti alle coste siciliane, che potrebbero essere attaccate da barchini kamikaze e da miliziani jihadisti del sedicente ‘Stato Islamico’.

Se così fosse, il migliaio di militari di ‘Mare Sicuro’si aggiungerebbero ai colleghi dell’Esercito (3.900 militari) impiegati nell’operazione ‘Strade Sicure’ per vigilare obiettivi sensibili a rischio di attacco jihadista.

Al di là delle denominazioni, più adatte all’Automobil Club o a quale programma di società di salvamento, dalla Difesa ci tengono a precisare: non sarà un blocco navale, ma una missione di vigilanza e sicurezza in mare. Per usare un detto siciliano, “chiamala come vuoi, sempre cucuzza è“.

Accanto a queste decisioni, ieri la ministra Pinotti ha reso noto che un contingente di Carabinieri sarà inviato in Iraq per addestrare la Polizia Militare irachena, portando a oltre 550 i militari italiani impegnati nel Kurdistan.

Di fronte a queste informazioni, pensiamo siano opportune due riflessioni: la prima riguarda il processo decisionale, che bypassa il Parlamento in una situazione che è oggettivamente di guerra; la seconda sulle stesse informazioni divulgate pubblicamente.

Operatori del X Comsubim-Raggruppamento subacquei e incursori "Teseo Tesei"
Operatori del X Comsubim-Raggruppamento subacquei e incursori “Teseo Tesei”

Sotto il primo profilo, è pacifico che lo scenario in Nord Africa sia di guerra dichiarata anche all’Italia e non solo per il coinvolgimento di turisti italiani nella Strage di Tunisi del 18 Marzo scorso, quanto per le reiterate minacce univoche e concordanti verso Roma da parte del cosiddetto ‘Stato Islamico’, che ha dato ampia prova di promettere attacchi più che di minacciarli.

Ne consegue che l’impiego di militari in una situazione di guerra necessiti l’adozione di misure idonee sotto il profilo giuridico, sia di livello costituzionale che di ordine penale.

Sotto il primo, la decisione di dispiegare un dispositivo aeronavale nel Mediterraneo centrale in funzione difensiva dovrebbe avere l’avallo parlamentare, visto che la Repubblica Italiana è ancora una democrazia parlamentare e che l’azione rientrerebbe ampiamente nei limiti costituzionali dell’Articolo 11: articolo che vieta guerre di offesa o di conquista, ma autorizza senza tema di smentita ogni azione tesa a salvaguardare il Paese da attacchi esterni, in coerenza con l’Articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite (che autorizza l’autodifesa individuale o collettiva).

Sotto il profilo penale, le regole di ingaggio dovrebbero implicare l’adozione del diritto penale di guerra, non solo per regolare le azioni dei militari in servizio, ma anche per affrontare con il necessario armamentario giuridico ipotesi di reato mai verificatesi del tutto in Italia, come lo spionaggio a favore del nemico o l’intelligenza con potenze nemiche. Stante alle dichiarazioni di un agente dei servizi di sicurezza italiani alla trasmissione ‘Agorà’ di venerdì 20 Marzol’intelligence italiana ha prove evidenti di tentativi di infiltrazione dei gangli intellettuali e decisionali nazionali, attraverso alcune giovani donne islamiste che avrebbero avvicinato o sarebbero in contatto con docenti universitari e personalità politiche con il fine preciso di raccogliere informazioni afferenti alla sicurezza nazionale (ed Alleata).

Merita anche qualche considerazione la reiterata predisposizione della ministra Pinotti (non sappiamo se con il consenso o meno del presidente del Consiglio dei Ministri) a fornire cifre e particolari sull’impiego di militari e di strumenti militari nel quadro della lotta internazionale, dichiarazioni che precedono sempre l’attuazione delle decisioni, mettendo a rischio la riuscita e la necessaria riservatezza preliminare delle stesse. Questa predisposizione fa il paio con quella del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che giorni fa ha pubblicizzato un programma di formazione di tutti i poliziotti in servizio per renderli capaci di affrontare un combattimento urbano ravvicinato contro ipotetici terroristi: divulgazione che ha fatto infuriare i sindacati di polizia e che ha reso palese e noto – urbi et orbi – che la Polizia di Stato mancherebbe di capacità e di strumenti per affrontare una minaccia urbana più grave di un furto di biciclette. Un dato che diverge dalla realtà, anche se è vero che i poliziotti non hanno i mezzi (abbigliamento di protezione, armi da guerra e capacità di tiro dinamico) propri dei reparti tattici deputati ad affrontare le situazioni di emergenza.

Necessiterebbe una presa d’atto politica che la situazione è straordinaria e che non c’è più molto tempo da perdere in decisioni adottate male e non in linea con il reale livello di pericolo che incombe sulla cittadinanza. Ciascun cittadino ha l’obbligo di difendere la Patria, secondo l’Articolo 52 della Costituzione. Vi è l’obbligo del buon governo e di prendere le decisioni migliori per garantire questo obiettivo definito ‘sacro’ dalla Carta

Non sembra che il Governo Renzi stia andando verso questa direzione. Confusione a via XX Settembre o incompetenza a Palazzo Chigi?

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