In Indonesia prosegue la svolta islamista e avanza la sharia. Divieto di vendita di alcolici in tutto il Paese

di Mathias Hariyadi

Negozi, centri commerciali e bancarelle non potranno vendere bevande alcoliche. Per il ministro del Commercio il provvedimento serve a tutelare i giovani, maggiori consumatori di alcol. Il buco nelle casse dello Stato (oltre 460 milioni di dollari) coperto da un aumento della tassazione sugli alcolici serviti in bar e ristoranti. Partiti islamisti e moderati uniti nella lotta contro l’alcol

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Jakarta – Da domani, 16 aprile, in tutto l’arcipelago indonesiano sarà vietata l’esposizione e la vendita al pubblico di birra; un divieto che vale per tutte le attività commerciali volte alla vendita, compresi i negozi, i centri commerciali e le bancarelle lungo le strade. La conferma arriva dal ministro per il Commercio (e magnate nell’industria elettronica) Rachmat Gobel, il quale spiega che il bando è stato votato il 16 gennaio scorso e che questi quattro mesi sono serviti per la graduale applicazione della nuova norma. Ora, aggiunge il titolare del dicastero, non saranno ammessi “cambiamenti” né deroghe: i trasgressori saranno puniti a norma di legge. 

Da decenni gli indonesiani sono soliti consumare discreti quantitativi di alcol, sia della tradizione locale che importati dall’estero, bevande “occidentali” come birra, champagne, vodka e vino. E se per qualcuno bere alcolici è solo uno svago nel tempo libero, in certe aree (Kalimantan e altre regioni) il consumo di alcolici fatti in casa è legato a motivi di carattere culturale e della tradizione. Altri, infine, come in altre parti del mondo bevono “per divertimento” con il solo scopo di “ubriacarsi”. 

In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo dove in alcune aree come la provincia di Aceh è in vigore la sharia (la legge islamica), da oltre tre decenni è consentita al pubblico la vendita di birra e bevande con meno del 5% di contenuto alcolico. I giovani sono il target di riferimento di questi prodotti e i più grandi consumatori di birra e soft-drinks, al contrario della popolazione anziana e dei più stretti osservatori della morale islamica che consumano solo tè e acqua naturale. 

Secondo alcuni osservatori l’entrata in vigore della norma che proibisce la vendita al pubblico di alcolici assesterà un duro colpo alle casse dello Stato, visto che solo in tasse la rendita nel settore per il Paese è di oltre 6 trilioni di rupie indonesiane all’anno (oltre 460 milioni di dollari). Il ministro risponde però che preferisce “salvare il futuro delle nostre giovani generazioni”. Rachmat Gobel aggiunge inoltre che la perdita causata dai mancati introiti può essere compensata da un aumento della tassazione dal 10 all’11% nel consumo di bevande alcoliche nei caffè, nei ristoranti e negli hotel. 

La vicenda riguardante il bando alla vendita di alcolici non riveste solo un’importanza economica o sociale, ma vi sono anche elementi di natura religiosa perché è una battaglia di lungo corso cavalcata da partiti più o meno filo-islamisti.

Del resto la scorsa settimana due partiti di ispirazione musulmana – lo United Development Party (Ppp), moderato, e il Justice and Prosperous Party (Pks), più radicale – hanno sottoscritto una proposta di legge finalizzata alla proibizione della vendita di alcolici.

Per i trasgressori è prevista una pena fra i tre mesi e i due anni di prigione e il messaggio dei legislatori è chiaro: vietata la vendita di alcol su tutto il territorio nazionale, anche perché “il 58% dei crimini commessi si verificano a causa del consumo di alcol e droga”.

(AsiaNews)

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