Il Papa torna sulla catechesi della famiglia all’Udienza generale del mercoledì, indicando l’ABC per una vita comune

“Permesso”, “grazie” e “scusa” sono parole che “aprono la strada per vivere bene nella famiglia”, dice Francesco. “L’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”. “Anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo”. “Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza”. “Un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio”. “Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare”

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Città del Vaticano – “Permesso?”, “grazie” e “scusa” sono parole che “aprono la strada per vivere bene nella famiglia”, parole della “buona educazione”, ma che possono nascondere “un formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo”, dal quale non è al riparo neppure la religione, dove si rischia di far “scivolare l’osservanza formale nella mondanità spirituale”. Alle tre parole “permesso?”, “grazie” e “scusa”, “semplici, ma non così semplici da mettere in pratica”, Papa Francesco ha dedicato la catechesi per l’udienza generale di oggi, che egli stesso ha definito “come la porta d’ingresso di una serie di riflessioni sulla vita della famiglia, la sua vita reale, con i suoi tempi e i suoi avvenimenti” e nella quale “lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro”.

Nel discorso rivolto alle 40mila persone presenti in piazza San Pietro, tra le quali è lungamente passato con la jeep bianca, il Papa ha sottolineato il fatto che le tre parole “racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare”.

“Noi – ha detto – le intendiamo normalmente come le parole della ‘buona educazione’. Va bene, una persona ben educata chiede permesso, dice grazie o si scusa se sbaglia. Va bene, ma la buona educazione è molto importante. Un grande vescovo, San Francesco di Sales, soleva dire che ‘la buona educazione è già mezza Santità’. Però, attenzione, nella storia abbiamo conosciuto anche un formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro. Si suole dire: ‘Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini’. Nemmeno la religione è al riparo da questo rischio, che fa scivolare l’osservanza formale nella mondanità spirituale. Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere – ma è proprio un signore, un cavaliere – e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo. Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.

“La prima parola – ha proseguito il Papa – è ‘permesso?. Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore. A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro dell’Apocalisse che abbiamo sentito: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Ma anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo” e “Prima di fare una cosa in famiglia: ‘Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?’. Quel linguaggio proprio educato ma pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie”.

“La seconda parola è ‘grazie’. Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale pasSano entrambe di qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. È brutto questo! Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare . Una volta ho sentito di una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita … La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire: ‘Grazie alla gratitudine’. È il fiore di un’anima nobile. È una bella cosa questa”.

“La terza parola è ‘scusa’. Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il Padre nostro, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: ‘Scusami’. Nella vita matrimoniale si litiga tante volte… anche ‘volano i piatti’ eh!, ma vi do un consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace. Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori? Avete litigato forte? Ma non sta bene. Ma non è il problema: il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo. Per questo se avete litigato mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così. E l’armonia familiare torna, eh! Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace. Capito questo? Non è facile, eh! Ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella”.

“Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione, forse, le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile”. (AsiaNews)

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