Mad Max: Fury Road, la speranza è una terra desolata

George Miller torna nell’universo post-apocalittico creato nel 1979 cambiando prospettiva, ma mantenendo la stessa potenza visionaria

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Sequel/prequel/reboot? Mad Max: Fury Road potrebbe benissimo essere qualsiasi cosa. Frutto ancora una volta del genio visionario di George Miller, trent’anni dopo l’eroe solitario e folle torna a renderci partecipi di un mondo desolato, con l’avvertimento che quel mondo potrebbe benissimo essere il nostro tra non molti anni; e una volta arrivati a quel punto, non si potrà più tornare indietro. Insensata diventa quindi ogni forma di speranza, liquidata cinicamente e in maniera spedita come un oppio da cui occorre disintossicarsi immediatamente.

Giunti al punto di non ritorno, una sola preoccupazione è l’unica ammissibile: sopravvivere. Ricreando con pochi elementi portanti la mitologia inaugurata nel 1979 e apportate le dovute correzioni e gli indispensabili aggiornamenti, George Miller parla ancora una volta del nostro desolato presente attraverso un futuro fatto di semi-dei, non-morti, reietti, mutanti e orge motoristiche. Lo fa con una forza avveniristica potente come le vetture che attraversano il deserto tra una cittadella e l’altra, riprendendo la grezza materia, la (nuova) carne umana e metallica, orchestrando coreografie, inserendo oculatamente effetti digitali dalla rara potenza visionaria (la tempesta di sabbia né è un perfetto esempio) e, moltiplicando il tutto all’ennesima potenza, ci restituisce un kolossal che piomba addosso allo spettatore con una velocità così impressionante da lasciare più volte senza fiato, e con qualche goccia di sudore di troppo a fine visione.

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Non ci sono pause, non servono. I personaggi palesatisi davanti ai nostri occhi hanno già in loro stessi una spiegazione esaustiva degli eventi che li precedono e che verranno in seguito, quasi costituissero dei veri e propri archetipi della nuova società. L’unica pedina impazzita è, appunto, Max: relegato genialmente a un ruolo secondario, il personaggio centrale di tutti e tre i film precedenti si ritrova suo malgrado a prendere parte a una spedizione della speranza, una speranza che non gli appartiene più, ma che sogna di vedere di tanto in tanto nelle anime che lo circondano. La speranza in un domani migliore è rappresentata da Furiosa che, se non per sé, cerca almeno di donare una prospettiva alla purezza rappresentata dalle giovani al suo seguito e liberata dalla forza bruta e ossessiva di un semi-dio (e semi-uomo) dal nome tribale (Immortan Joe). Furiosa cerca redenzione, e con lei tutto il genere umano, ma per farlo dovrà spogliarsi dell’ultima delle illusioni che le intralcia il percorso: proprio la speranza. Un sistema narrativo perfettamente strutturato e che suscita automaticamente l’empatia nello spettatore (di qualsiasi temperamento).

(Mad) Max, paradossalmente, la riporterà a una lucidità necessaria alla vera sopravvivenza (tutta mentale); difatti, egli non è un eroe. Il mondo non ha più bisogno di eroi, ha bisogno di ritrovare la sua umanità, e per farlo bisogna affrontare i propri fantasmi, rimediare a ciò che si è danneggiato, trasformare (quindi migliorare) il concreto. Non c’è più posto per sogni e speranze, c’è solamente posto per l’azione.   

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