Al Pd 5 regioni su 7, ma con un salasso di voti

La visita a Herat trova fondamento nella celebrazione della Festa della Repubblica, ma di certo vedere Renzi in ‘mimetica’ (per una persona che il militare non l’ha neanche fatto) è la rappresentazione plastica di un volere evitare il confronto, temporeggiare. La presa di posizione dell’NCD. Gli inviti di Mattarella: più unità

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Roma – Parlano i gesti, più ancora delle dichiarazioni ufficiali. Era eloquente quello scatto ‘rubato’ di Renzi che giocava alla Playstation con Orfini, nella nervosa notte dei risultati. È eloquente la scelta della visita lampo a Herat, per celebrare con gli uomini sul campo la Festa della Repubblica, certo, ma indubbiamente con una valenza in più per quelle immagini del presidente del Consiglio che, anziché discettare dell’andamento dei flussi elettorali, indossa la giacca della mimetica.

Non che quella disamina manchi, ovviamente. Il risultato del voto e’ molto positivo, oggi sono cinque le regioni guidate dal Pd e dal centrosinistra. Si e’ passati in un anno dal 6 a 6 ad un sonoro 10 a 2 sul centrodestra. È la lettura del presidente del Consiglio-segretario Pd. Dopo il voto di ieri andiamo avanti, ribadisce Renzi, con ancora maggiore determinazione nel processo di rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese.

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Il trend lo aveva segnato Lorenzo Guerini: se le elezioni dell’8 dicembre 2013 erano finite in parità, con sei regioni al centrodestra e sei al centrosinistra, con il risultato di ieri si e’ passati a dieci regioni al centrosinistra e due al centrodestra.

È una slide a illustrare gli esiti del voto nel corso della conferenza stampa dei vertici Pd. “Eravamo sei a sei, siamo a dieci a due”, ha sottolineato il portavoce del Pd Lorenzo Guerini. “Questo e’ il dato chiaro, essenziale. Il resto – ha aggiunto – sono chiacchiere. Con la segreteria Renzi sono state conquistate molte regioni”. Le ricadute comunque ci sono. Tanto per cominciare proprio nel Pd. “È il Partito della Nazione il grande sconfitto di queste elezioni regionali, insieme alla retorica del Renzi vincitore contrapposto alla sinistra che e’ capace solo a perdere”.

Questa la lettura del Pd Federico Fornaro che pungola la maggioranza Dem e dice: “Sarebbe bene che al Nazareno analizzassero con maggior attenzione i comportamenti degli elettori e i segnali che arrivano dalle urne, a cominciare da un alto astensionismo, invece che concentrarsi solo su tweet e infografiche, strumenti consolatori quando non si vogliono vedere i voti realmente espressi”.

“Anche assegnando al Pd tutti i voti andati al solo candidato presidente del centrosinistra, e non alle liste della coalizione, rispetto alle Europee 2014, i Democratici – passa nel dettaglio l’esponente della minoranza Pd – lasciano per strada circa 1.900.000 voti, passando nelle 7 regioni interessate dal turno elettorale di domenica, dal 41,5% dello scorso anno all’odierno 25,2%.

O la legge elettorale cambia e si dà la possibilità di formare una coalizione o dovremo aprire una riflessione. Finora abbiamo tenuto con generosità una posizione rimanendo al governo per fare le riforme. I margini per questa posizione diminuiscono”, avverte invece il coordinatore del Nuovo centrodestra, Gaetano Quagliariello.

Abbandona l’abituale aplomb anche Angelino Alfano che declina in termini più spicci la categoria renziana dei ‘gufi’: “Alla faccia dei soliti necrofori, sotterratori e portasfiga, con la felpa e con la penna, noi ci siamo e andiamo avanti”. E il leader Ncd affronta anche la ‘competition’ dentro lo schieramento centrista, riattizzata dalle analisi post voto: “Alle Europee in queste 7 regioni Ncd-Udc al 4,2%. Oggi Area Popolare verso il 4 e Udc 1,5. Mentre altri calano, noi teniamo e avanziamo bene!”.

E a proposito di avanzate, eccoci a Matteo Salvini e Beppe Grillo. All’indomani del voto, sono loro i veri protagonisti della tornata elettorale. Entrambi i leader cantano vittoria: la Lega spopola nelle regioni del nord, doppiando Forza Italia, con l’affermazione netta di Zaia in Veneto. I 5 Stelle si affermano in tutte le regioni chiamate alle urne, diventando il primo partito in almeno tre regioni su sette. E nel day after entrambi si affrettano a dettare le loro condizioni.Il leader leghista lo fa con un occhio rivolto alla futura nuova casa dei moderati, progetto caro a Silvio Berlusconi: “Ieri gli italiani che hanno votato hanno deciso che il programma alternativo a Renzi è quello della Lega. Noi siamo aperti, disponibili a dialogare e a confrontarci con tutti – chiarisce Salvini – però ieri gli sconfitti sono i tremabondi, quelli che cambiano idea e dicono ‘valutiamo’. La gente ci chiede scelte concrete, precise, realizzabili e coraggiose. Niente vie di mezzo ne’ minestroni”, avverte il segretario del Carroccio.

E Grillo, replicando indirettamente al neo governatore pugliese, Michele Emiliano, che ha proposto un assessorato ai Pentastellati, mette subito in chiaro: No alle “sirene della sinistra che ci vorrebbero assessori o alleati. Le alleanze e gli inciuci non ci appartengono”. Nel mirino del leader 5 Stelle finisce il premier, Matteo Renzi: “Alle Regionali ha avuto cio’ che si meritava, era convinto che il filo lo tirasse lui da solo ma ora ha capito che i fili non li tira lui ma qualcun altro. Si e’ ‘auto-marionettizzato’, e’ il primo caso d’Europa”, ironizza Grillo. Su tutto questo, si leva la voce di Sergio Mattarella.

Anche il Colle guarda la situazione e richiama tutti a una lettura di sistema: “Le liti esasperate, le discussioni, la dialettica anche acuta creano sfiducia, contribuiscono con altri fattori a creare sfiducia e allontanano i cittadini”.

Chiede, il Presidente della Repubblica, “maggiore armonia collettiva” perché l’eccessiva litigiosità “allontana i cittadini e senza di loro la democrazia si impoverisce”. Non pronuncia la parola, ma e’ chiarissimo che lo spettro che il Colle mette davanti ai partiti e’ l’astensionismo, forse l’unico ‘partito’ che, anche in questa tornata, può davvero contare su una continua progressione. (AGI)

(AGI)

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