L’University of Bristol ha analizzato luci e ombre degli effetti terapeutici della marijuana

Uno studio pubblicato sul ‘Journal of the American Medical Association‘, ordinato dal Swiss Federal Office of Public Health, mette in evidenza effetti rilevanti e irrilevanti del consumo di cannabinoidi a fini terapeutici, ma gli unici effetti certi sono quelli collaterali sgradevoli. La conclusione è conseguente: occorre sempre fare un’analisi dei costi e dei benefici

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New York – Per giustificare il processo di liberalizzazione delle droghe leggere, come la marijuana, si è spesso evocato un supposto effetto terapeutico nel trattamento di alcune malattie, specialmente di natura neurologica o neoplastica o connessa alle cure di queste malattie, come nei trattamenti chemioterapici.

Negli Stati Uniti questa liberalizzazione della marijuana per uno terapeutico è ormai legalizzato in 23 dei 50 Stati dell’Unione, mentre in molti altri si ipotizza rendere libero il consumo di cannabinoidi a questo fine.

Tuttavia, il mondo scientifico è sembrato spesso restìo ad ammettere che l’uso della marijuana avesse effetti terapeutici, ma un nuovo studio dell’University of Bristol ora fornisce un supporto scientifico a chi nega questa eventualità.

La ricerca, pubblicata sul Journal of the American Medical Association, ha preso in esame i risultati di 80 ricerche precedenti, coinvolgenti oltre 6.500 volontari. Dai risultati dell’analisi è emerso che le evidenze a favore della marijuana sono molto deboli e che ci sono pochissime evidenze scientifiche dimostranti l’efficacia di questo tipo di stupefacente nell’alleviare i sintomi di alcune malattie.

Ancora più deboli gli effetti contro nausea e vomito nei pazienti in chemioterapia, in quelli affetti da disturbi del sonno o dalla sindrome di Tourette, un disordine neurologico che esordisce nell’infanzia e spesso sparisce durante l’adolescenza, caratterizzato dalla presenza di tic motori e fonatori incostanti – talvolta fugaci, altre volte cronici – la cui gravità può variare da estremamente lievi a invalidanti.

Di moderata intensità sono invece risultati gli effetti contro il trattamento del dolore neuropatico cronico, il cancro e le contrazioni muscolari provocate dalla sclerosi multipla.

Viceversa, secondo i ricercatori britannici, sono più forti le evidenze sugli effetti collaterali della marijuana. In particolare, i cannabinoidi sono stati associati all’insorgenza di vertigini, secchezza delle fauci, nausea, stanchezza, euforia, vomito, disorientamento, sonnolenza, confusione, perdita di equilibrio e allucinazioni.

In definitiva, la possibilità di usare “cannabinoidi come un possibile trattamento per i loro sintomi” dovrebbe essere discussa tra pazienti e i loro medici, per discutere sui potenziali rischi e benefici”, ha dichiarato alla Reuters la dottoressa Penny Whiting, del policlinico universitario di Bristol, che ha partecipato alla ricerca ordinata dal ordinato dallo Swiss Federal Office of Public Health di Berna.

Rosario Sorrentino, membro dell’American Academy of Neurology, lo scorso anno ha sottolineato gli effetti “molto pesanti” dell’uso di cannabinoidi soprattutto per gli adolescenti e i giovani, in cui ancora il cervello non si è pienamente sviluppato.

Siamo un paese ipocrita, in cui ormai la cannabis è ‘sdoganata’, affermò Sorrentino lo scorso Novembre, spiegando che il ‘bad trip’, ossia le reazioni avverse alla cannabis, non è come un’indigestione, ma spesso purtroppo il triste esordio di un lungo calvario, che spalanca le porte a tante forme di disagio mentale“.

Quindi, nessuna droga leggera, ma l’anticamera quasi matematica per quelle ben più pesanti“, aveva affermato il neurologo, secondo il quale la marijuana non si può certo chiamare droga leggera, “perché leggera non è”.

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