Jules Bianchi accompagnato da alcuni colleghi all’ultimo “check-in”: destinazione Infinito…

Una parte importante della Formula 1 ha dato l’ultimo saluto all’involucro terreno del pilota francese nella cattedrale di Sainte-Réparate a Nizza. Non citeremo gli assenti: si citano da sé stessi. E vi facciamo una confessione: dopo 33 anni, abbiamo pianto. Pianto di rabbia, perché in molti commenti sull’incidente – anche autorevoli – manca un riferimento preciso, ineludibile

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Nizza – Il sole sulla Costa Azzurra ha fatto da sfondo all’ultimo saluto al corpo terreno di Jules Bianchi, che ha liberato il proprio spirito quattro giorni fa dal sonno profondo in cui era caduto il 5 Ottobre 2014 durante il Gran Premio del Giappone.

Una parte importante della Formula 1 era presente a questo ideale ‘check-in’ con l’Altro Mondo: destinazione Infinito. Alla cerimonia cristiana di commiato nella cattedrale di Nizza dedicata a Sainte-Réparate, in piazza Rossetti, non hanno mancato Lewis Hamilton e Nico Rosberg, accompagnati dal team principal della Mercedes Toto Wolff; la Ferrari al (quasi) completo, con il team principal Maurizio Arrivabene, Alberto Antonini (capo ufficio stampa), Luca Baldisseri (capo di FDA) e il direttore sportivo Massimo Rivola, con Sebastian Vettel, Esteban Gutierrez e Jean-Eric Vergne, della prima squadra. Non sono mancati Raffaele Marciello e Antonio Fuoco, che appartengono al vivaio di Maranello. Presente anche Stefano Domenicali, già team principal del Cavallino Rampante, oggi all’Audi e con responsabilità alla FIA, rappresentata anche dal presidente Jean Todt e dal responsabile media Matteo Bonciani. In rappresentanza del governo francese è intervenuto alle esequie Thierry Braillard, ministro dello sport. 

Non hanno perso l’ultimo abbraccio al collega Alain Prost, Jean Alesi, Derek Warwick, Alex Wurz (presidente della GPDA), Pastor Maldonado e Felipe Massa (con le lacrime agli occhi e senza timore di nasconderle), Jenson Button ed Eric Boulier in rappresentanza della McLaren, tutto lo staff della Manor-Marussia, Charles Pic, Adrian Sutil, l’ex pilota di F1 Allan McNish, Daniel Ricciardo, Daniil Kvyat, Valtteri Bottas, Romain Grosjean (e se ci dimentichiamo qualcuno, chiediamo venia).

Mentre in chiesa risuonavano le note di ‘Hotel California’ degli Eagles, piazza Rossetti era piena di amici e di simpatizzanti della Formula 1, che hanno salutato Jules Bianchi nel suo ultimo volo.

Nella sua omelia padre Sylvain Brison ha ricordato che “la morte di Jules è profondamente ingiusta“, ma anche che “Jules era felice, perché aveva trasformato il suo sogno in realtà. La Formula 1 era la sua vita, la sua vocazione. Era un campione dotato di raro talento, ma anche un giovane profondo e umile”.

Davvero il Signore chiama sempre al suo onnipotente cospetto i migliori prima delle fetecchie umane.

Vi confessiamo che dopo 33 anni (dalla morte di Gilles Villeneuve) abbiamo pianto. Pianto di rabbia, perché questa morte è davvero incredibile, per le circostanze in cui è maturato l’incidente che l’ha determinata.

In moltissime dotte, circostanziate e autorevoli ricostruzioni – bandiere gialle, doppie bandiere gialle, Safety Car, Virtual Safety Car, guasto all’acceleratore, limiti di velocità, pioggia, sole, orario, buio incombente e tutto quell’accidenti che volete – non abbiamo letto solo un piccolo particolare, un sostantivo, un nome: “ruspa”.

E non per un riferimento al leader della Lega Lombarda, Matteo Salvini, ma per dire solo, in modo semplice, con lapalissiana chiarezza: “quella cazzo di ruspa non doveva essere lì”.

Magari Jules si sarebbe fatto male o forse no, ma non sarebbe stato un atto di incoscienza gestionale, non una fatalità insita nel motorsport. Perché l’incidente di Jules Bianchi – al di là delle autoassoluzioni ridicole e indegne – è stata una fatalità innestatasi con un atto deficiente, inconsulto, idiota.

Non si può morire per l’idiozia altrui, quella di chi non ha neanche il senso dell’onore di ammetterlo.

Buon viaggio, Jules. Salutaci il Grande Ingegnere (e pure il Drake).

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.