Appello di un medico cubano al Papa: “trovi il modo di abbracciare le vittime prima dei carnefici”

di Flavio Labrador**
La speranza dei cubani in patria ed esuli è che il Pontefice trovi il modo di incontrare i prigionieri politici e le madri di chi paga i crimini del regime comunista castrista, abbracciando le mogli – le “Damas de blanco”  – e le loro famiglie che manifestano ogni domenica in loro favore, venendo per questo picchiate e allontanate. Il regime cubano sta “obbedendo” all’indicazione datagli da Giovanni Paolo II di “aprirsi al mondo”. Una delegazione di 200 cubani o cubano-americani dell’arcidiocesi di Miami oggi arriva a Cuba. Flavio Labrador è un medico cubano esule a Miami da anni. In Florida sopravvive insegnando, ma pone al Pontefice un problema serissimo

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Miami (AsiaNews) – Alla vigilia della visita del Papa a Cuba – e poi negli Stati Uniti – Flavio Labrador lancia 20150919-flavio-labrador-twitter-256un appello a Francesco perché incontri i prigionieri politici o abbracci le “Damas de blanco” che ogni domenica manifestano all’uscita della chiesa per i loro parenti in prigione e vengono di continuo picchiate e allontanate. Labrador è un medico laureato all’Università dell’Avana, da anni esule a Miami dove si guadagna da vivere facendo l’insegnante.

Labrador apprezza i piccoli passi che, da Giovanni Paolo II in poi, l’isola e il regime stanno facendo per “aprirsi al mondo”. Ma sono passi costretti dai fallimenti economici e politici.

Intanto la Chiesa e i papi operano per portare luce anche nelle zone buie della vita dei cubani, tenute nascoste dal regime

L’APPELLO DEL DR. FLAVIO LABRADOR

Per anni il popolo di Cuba ha sofferto e soffre ancora; per anni è stato privato e manca ancora di pane sulla sua tavola. Ora questo stesso popolo è in attesa in questi giorni dell’incontro con rinnovata speranza con Papa Francisco.

Il Papa lo sa, sa che Cuba sta soffrendo, che a Cuba manca il pane, che a Cuba si spera contro ogni speranza, e sa anche che a Cuba non c’è libertà.

Va per questo, e sono andati per questo anche gli ultimi due papi, perché l’evangelizzazione del popolo non finisce mai, perché vi è la Buona notizia da portare. Soprattutto egli va per essere vicino a tutti, in particolare a coloro che soffrono, che non hanno pane, che mancano di speranza, che non sono liberi: sono questi i beati del Vangelo di Gesù. Questa scelta non è un’opzione fra tante, ma un modo di vivere, forse l’unico modo per una vita cristiana vera e coerente.

Nelle due precedenti visite di un papa a Cuba, ho potuto sperimentare l’intensità della preparazione, e l’intensità di ogni momento della storica visita di Giovanni Paolo II, il papa viaggiatore (1998). La visita di Benedetto XVI (2012) l’ho invece vissuta in esilio negli Stato Uniti. E anche questa visita di papa Francesco la vivrò in esilio, insieme a una parte di Cuba, che vive in esilio con me.

Pure l’arcidiocesi di Miami – e soprattutto la città di Miami – si è preparata a questo incontro. L’arcivescovo Thomas Wenski, arriva oggi a Cuba con circa 200 persone, la maggior parte di loro cubani e cubano-americani, come parte di un pellegrinaggio in occasione della visita del Papa, cercando di  conoscere la realtà di Cuba oggi, intuire nuove partnership, costruire nuovi ponti. Alcune di questi pellegrini che vanno con lui hanno lasciato Cuba quando erano molto piccoli e in un certo senso vedranno Cuba per la prima volta. Altri esuli si riuniranno in varie chiese della città di Miami, come il Santuario di Nostra Signora della Carità, patrona di Cuba, di fronte alla baia di Miami, per assistere alle trasmissioni in diretta da L’Avana, Holguin e Santiago, offerte da diverse reti televisive come Cnn e molti altri, tra cui anche una stazione locale della televisione di Miami. Molte di loro, come AmericaTV ispanica, avranno una copertura speciale che ci permetteranno di vivere la visita del papa fin dal suo arrivo all’Avana oggi. Non vi è mai stata maggior vicinanza fra la Cuba degli esiliati e la Cuba prigioniera.

Il regime dell’Avana non ha avuto altra scelta: contro la sua volontà e la sua natura, ha cominciato a fare quello che Giovanni Paolo II gli ha chiesto fin dalla sua discesa dall’aereo che lo ha portato a Cuba nel gennaio 1998: che Cuba si apra al mondo. Lo stesso regime che ha chiuso e sconsacrato chiese; che ha espulso sacerdoti e religiosi; che ha condannato ai lavori forzati molti credenti; che ha rinnegato Dio, oggi non ha scelta, né argomenti, e pur cercando di non perdere il controllo o il potere, dà più libertà alle chiese, permette l’ingresso di personale religioso a Cuba, e con altri gesti di buona volontà, cerca di dare un’immagine di sé molto diversa dalla realtà.

Papa Francesco lo sa. Lo sapeva molto bene anche Giovanni Paolo II. E per questo approfittano di piccole fessure nel muro per portare luce nelle oscurità nascoste. Questo è tutto ciò che si può fare, ed è ciò che la Chiesa sta facendo da anni. Ma vorrei che questa volta si facesse un po’ di più. Vorrei che nell’agenda di papa Francesco fossero presenti le persone che a Cuba sono perseguitate per le loro idee, imprigionate, picchiate e torturate per il loro pensiero. Vorrei che papa Francesco abbracci le donne che vengono picchiate ogni domenica all’uscita dalla chiesa [si tratta delle cosiddette “Damas de Blanco”, madri, sorelle, mogli che manifestano ogni domenica per la liberazione dei loro mariti o parenti]. Mi piacerebbe vedere che il papa abbracci le vittime, anche prima di andare a salutare il carnefice.

Questo è ciò che io desidero e quello che molti desiderano faccia parte della visita del papa a Cuba. Gesti simili darebbero più realismo e senso alla visita e renderebbero papa Francesco ancora più grande.

**Medico cubano, esule in Florida, a Miami, dove lavora come insegnante

(Fonte: AsiaNews)

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