L’outing di monsignor Charamsa, ma la Chiesa non è un ristorante à-la-carte. Celibato da ridiscutere

Il prelato polacco ha rivelato in modo plateale, alla vigilia dell’apertura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, di essere omosessuale e di avere un compagno stabile, venendo meno al voto del celibato. Non è in discussione l’accettazione delle inclinazioni sessuali, ma l’adesione ai principi della Chiesa Cattolica, le cui norme canoniche e principi morali non sono un menu à-la-carte in cui si può scegliere cosa prendere e cosa lasciare

Città del Vaticano – Il momento di massima attenzione mondiale sul Vaticano, per l’apertura del Sinodo sulla famiglia di oggi, con la messa del Pontefice. Il momento scelto da monsignor Krzysztof Charamsa – segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale vaticana e ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede – è stato il migliore per amplificare la divulgazione di una notizia a fini propagandistici. 

Charamsa ha rivelato – come ormai noto – di essere omosessuale e di avere un compagno. Una condizione su cui alcuno oggi potrebbe immaginare di condannare moralmente in senso assoluto, ma che va invece esecrato sotto il profilo canonico ed ecclesiale.

Al disvelamento della dimensione affettiva di monsignor Charamsa, la Santa Sede non poteva che reagire come ha fatto: sollevando da ogni incarico il prete polacco, che ha attaccato il cuore della Chiesa in modo veemente.

Padre Federico Lombardi, direttore dell’ufficio stampa del Vaticano è stato lineare: Charamsa “non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione della Dottrina della Fede le università pontificie“. Sotto il profilo canonico, la competenza di agire è del “suo ordinario diocesano“, segno che nella Chiesa la sussidiarietà funziona meglio che negli Stati ordinari. 

A Charamsa si contesta la platealità strumentale del gesto e la rottura del voto del celibato, che è il vero tabù da mettere in discussione prima possibile. “La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita oppressione mediatica“, ha spiegato padre Lombardi, con ammirevole saldezza d’animo.

Charamsa aveva scelto uno dei quotidiani più noti – e in teoria di posizioni moderate – per divulgare la propria verità e la rottura sostanziale del celibato. In un’intervista esclusiva al ‘Corriere della Sera‘, il prelato polacco aveva affermato che “l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno di una famiglia. Una coppia di lesbiche o di omosessuali deve poter dire alla Chiesa: noi ci amiamo secondo la nostra natura e questo bene del nostro amore lo offriamo agli altri“. Tuttavia il teologo polacco aveva ammesso che queste “non sono posizioni dell’attuale dottrina, ma sono presenti nella ricerca teologica“, spiegando che il suo ‘coming out’ ha il fine di “scuotere un po’ la coscienza di questa mia Chiesa“, una dichiarazione discutibile, perché la Chiesa non è solo di monsignor Charamsa.

La Chiesa non è mai stata così sotto attacco da quella che – al tempo della ‘rinuncia’ di Benedetto XVI dal Soglio Pontificio – alcuni non temettero di definire ‘lobby gay’.

Il tabù da rimettere in discussione prima possibile è però il celibato sacerdotale. L’abolizione del divieto di matrimonio è, a nostro avviso, un passo ineludibile per rendere la Chiesa più vicina alla gente, ma anche per cercare di abbattere pulsioni inevitabili in una comunità di persone costrette a resettare del tutto la propria condizione umana. Nel calcolo costi/opportunità, le esperienze cristiane dei nostri confratelli Anglicani e Ortodossi sono sufficienti a comprendere come i sacerdoti sposati possano assolvere al proprio magistero meglio, con più elevate sensibilità sulla realtà contemporanea e, in primis, nei confronti della famiglia, la grande malata dei nostri tempi.

E se la famiglia è il fulcro della società, occorre rimetterla in piedi con accresciuto senso di sé anche con l’ausilio delle “mogli del parroco”, una figura inedita nel Cattolicesimo, che va però resa legittima e pubblica, abbattendo le molte ipocrisie che circondano il tema.

Un aspetto su cui la Chiesa Cattolica deve agire con celerità, che servirebbe peraltro a smuovere la famiglia anche sotto il profilo demografico.

Ci sono ovviamente problemi, il nepotismo ne è solo il più evidente e noto sotto il profilo storico. Ma alla piaga che un tempo afflisse la Chiesa – in presenza di celibato obbligatorio – si può porre rimedio, oggi come mai, con un semplice strumento: la trasparenza. Del resto, ciascuno di noi potrebbe raccontare storie di sacerdoti guardati dalla comunità con qualche occhio ironico, ogni volta che si appellano ai ‘figli della Chiesa‘. Ma vanno abbattute anche queste ipocrisie, i sacerdoti sono uomini normali, la santità è un evento straordinario che piove sulla testa senza preavviso: il mittente è Insondabile.

La trasparenza è mancata a monsignor Charamsa, che avrebbe voluto sedersi al banchetto della Chiesa come fosse un ristorante à-la-carte, in cui poter scegliere le pietanze, le bevande, i vini. La Chiesa è un’osteria a menu fisso, prendere o lasciare. E Charamsa, con il suo coming out è uscito dall’osteria sbattendo la porta e pretendendo un piatto fuori dall’ordinario. Un po’ troppo.

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