Siamo tutti obiettivi sensibili. Socializzare la difesa e la sicurezza nazionale ed europea (1)

A San Bernardino ‘lupi solitari’ jihadisti hanno colpito la popolazione inerme, ma le minacce sono antiche, rilanciate dalla ‘Dichiarazione di guerra’ di Osama bin Laden del 1993: un documento scarsamente considerato, in realtà un atto diplomatico-militare che pone il mondo libero di fronte a uno scontro che rompe i paradigmi. E che necessita la ridefinizione dei nostri paradigmi difensivi

Il 19 novembre scorso, l’ex direttore del ‘Corriere della Sera’, Ferruccio De Bortoli, pubblicò un tweet significativo per delineare il paradigma dell’attuale guerra in corso tra la civiltà (senza ulteriori aggettivi) e l’inciviltà del terrore islamista. “Siamo tutti obiettivi sensibili”, scrisse De Bortoli, “dunque dobbiamo essere più uniti e orgogliosi di quello che siamo”. Due termini per un paradigma nuovo a difesa della libertà.

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Non una guerra tra civiltà, come prospettato – con tono più laico e scientifico – da Samuel Huntington, perché la civiltà alberga con varie nuances e adattamenti solo tra chi si oppone a questi barbari inumani che saranno castigati dagli uomini e puniti da Dio.

Tuttavia, visto che la mente di Dio è insondabile e che non possiamo pensare di arrogarci il diritto di decidere per l’Onnipotente, dobbiamo terrenamente comprendere alcuni presupposti e alcune conseguenze, seppur di difficile accettazione, dell’attuale conflitto, la Prima Guerra Globale, internazionale e transnazionale della Storia. 

Il primo presupposto da assumere è che questa guerra non oppone solo Stati soggetti di diritto internazionale e sedenti nel consesso mondiale delle Nazioni Unite. Quello in atto è un conflitto tra Stati nazionali, unioni di Stati e gruppi transnazionali: questi ultimi – al-Qaeda, Fronte al-Nusrah, Isis, Hezbollah e così via – in teoria sfuggono alle responsabilità giuridiche ricadenti sugli organi di governo statuali, ma in pratica ricadono nelle fattispecie previste da una moltitudine di legislazioni penali, non solo occidentali, con una evidente contraddizione in termini, perché sotto il profilo tecnico nessun gruppo criminale ha mai portato attacchi su così vasta scala e in modo così indiscriminato. 

Le Brigate Rosse o la mafia – per citare casi italiani ai fini di una migliore comprensione della comparazione – hanno colpito membri delle Forze dell’Ordine, agenti dell’intelligence (Emanuele Piazza, per esempio), magistrati o personalità politiche, ma mai la popolazione in modo indistinto.

Il confronto rende perciò evidente che quello jihadista non è terrorismo, ma una ‘modalità’ di attacco militare su vasta scala, seppur polverizzato negli obiettivi e frammentato negli episodi, per rendere impossibile la protezione e la difesa di punto (ossia di ogni possibile obiettivo).

La dinamica degli attacchi dell’islamismo jihadista pone perciò un problema di difesa della popolazione del tutto differente dalle situazioni vissute nel XX Secolo, riscontrabili però nella storia precedente e, in particolare, nelle incursioni barbaresche sull’Europa e perfino sui neonati Stati Uniti dal XVI al XIX Secolo. Le torri di avvistamento che popolano le coste del Meridione d’Italia rimangono testimonianze archeologiche di sistemi di difesa costiera approntati per combattere questi attacchi.

L’evoluzione registrata a partire dalla ‘Dichiarazione di guerra’ proclamata dalle montagne dell’Hindukush il 23 Agosto 1993 da Osama bin Laden (ne abbiamo parlato qui) ha elevato ogni civile ‘miscredente’ a livello di obiettivo di un’azione militare compiuta con metodo terroristico.

Da New York a Mosca, da Beslan a Madrid, da Londra alla Nigeria e a Parigi, i civili sono diventati obiettivo primario degli attacchi jihadisti, che colpiscono preferibilmente le esternazioni della libertà assicurata da quel che loro sostengono sia peccato (haram): la libertà di circolazione, quella di riunione, le attività connesse al tempo libero e all’insegnamento.

La vita ordinaria è obiettivo della guerra islamista, circostanza che produce delle conseguenze paradigmatiche.

La prima e più importante conseguenza è quella evidenziata da De Bortoli: siamo tutti obiettivi sensibili, perché tutti noi siamo potenziali obiettivi di indistinti attacchi armati finalizzati a colpire pochi per convertire molti. La ‘conversione’ degli infedeli è l’obiettivo centrale della strategia jihadista, che però assume un contorno imperialista per la dimensione che il movimento islamista mondiale ha dato a questa ‘guerra santa’ per la ‘vera fede’.

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Il secondo effetto è che, se tutti siamo obiettivi sensibili, significa che la difesa e la sicurezza nazionale non può essere assicurata più esclusivamente dalle forze di polizia e dalle forze militari in senso convenzionale, ma va elaborato un piano per socializzare la risposta difensiva al jihadismo, attraverso norme giuridiche nuove e più adatte alla tragica realtà contemporanea.

Socializzare la difesa e la sicurezza nazionale è un obiettivo da perseguire con velocità e con norme che rendano più capillare il reticolo operativo da attivare in caso di attacco.

La strage di San Bernardino – con l’uccisione di persone inermi, tra cui alcuni disabili – mostra ancora una volta in modo inequivocabile l’esigenza di attivare un’aristocrazia combattente di resistenti e di resilienti all’oscurantismo islamico, con mezzi eterogenei per provenienza, capacità professionali e professione, che operi in raccordo con le Forze di Sicurezza Nazionale e con l’obiettivo di proteggere la democrazia e la libertà.

Una battaglia che occuperà probabilmente diverse generazioni per molti anni.

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