Unità europea, dagli Stati sovrani alla sovranità condivisa, l’esempio classico: gli Stati Uniti d’America

A quattro giorni dal referendum consultivo sul recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, ricordiamo l’analisi di due europeisti ante litteram, Giovanni Agnelli Sr – cofondatore della Fiat, e Attilio Cabiati, che esposero le tesi a favore dell’unità europea nel pamphlet “FEDERAZIONE EUROPEA O LEGA DELLE NAZIONI?”, pubblicato nel 1918. In un passaggio, i due autori liberali paragonano la situazione europea e quella delle 13 ex colonie britanniche del Nord-America nel passaggio dalla confederazione alla Costituzione degli Stati Uniti d’America del 1787. Allora come oggi il paragone è significativo, la soluzione alla portata degli europei di oggi

di Giovanni Agnelli Sr e Attilio Cabiati

[…] L’esempio classico. Ma l’esempio tipico, il quale dimostra come una medesima comunità abbia dovuto — per le ragioni stesse della sua esistenza — passare dal tipo della lega di Stati sovrani e indipendenti a quello più complesso di un’unione di Stati governati da un potere centrale, ci è offerto con insuperabile chiarezza ed evidenza dalla storia degli Stati Uniti d’America. Come è noto, essi passarono attraverso a due Costituzioni: la prima, disposta da un Congresso di tredici Stati nel 1776 ed approvata dagli Stati stessi nel febbraio 1781; la seconda, approvata dalla Convenzione nazionale del 17 settembre 1787 ed entrata in vigore nel 1788.

Il confronto fra i due documenti spiega perché il primo fallì, minacciando l’indipendenza e la libertà stessa della giovane Unione, mentre il secondo ha creato la Repubblica, che oggi tutti ammiriamo.

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Cerimonia della Dichiarazione di Robert Schumann, Salon de l’Horloge, Quai d’Orsay, 9 Maggio 1950.

La Costituzione del 1781 incominciava con l’affermare la sovranità dei singoli Stati. L’art. II dice appunto: «Ogni Stato conserva la propria sovranità,libertà ed indipendenza,ogni potere, giurisdizione e diritto…». L’art. XIII sanciva, è vero, che gli Stati si dovevano ritenere «legati dalle deliberazioni degli Stati Uniti riuniti in congresso»: ma, come osserva il Curtis, l’art. XIII entrava in perpetuo conflitto con l’art. II. L’essenza della sovranità è l’onnipotenza legale e non può riconoscere una sovranità superiore, senza distruggere sé stessa.

Hamilton, Washington, tutti gli uomini più cospicui della Confederazione videro il pericolo e lo segnalarono. I fatti, poi, furono più forti ed eloquenti di ogni commento. Come scrive un brillante studioso sul Corriere della Sera [1: a Società delle Nazioni è un ideale possibile?, di JUNIUS, n. 5 del 1918. JUNIUS era lo pseudonimo di Luigi Einaudi, ndr]: «Quei sette anni di vita, dal 1781 al 1787, della ‘società’ delle tredici nazioni americane, erano stati anni di disordine, di anarchia, di egoismo tali da far rimpiangere a molti patrioti il dominio inglese e da far desiderare a non pochi l’avvento di una monarchia forte, che fu invero offerta a Washington e da questi respinta con parole dolorose, le quali tradivano il timore che l’opera faticosa sua di tanti anni non dovesse andare perduta. La radice del male stava appunto nella sovranità e nell’indipendenza dei tredici Stati. La Confederazione, appunto perché era una semplice ‘società’ di nazioni, non aveva una propria indipendente sovranità, non poteva prelevare direttamente imposte sui cittadini. Dipendeva quindi, per il soldo dell’esercito e per il pagamento dei debiti contratti durante la guerra dell’indipendenza, dal beneplacito dei tredici Stati sovrani. Il Congresso nazionale votava spese, impegnava la parola della Confederazione e per avere i mezzi necessari indirizzava richieste di denaro ai singoli Stati. Ma questi o negligevano di rispondere, o non volevano nessuno tra essi essere i primi a versare le contribuzioni nella cassa comune. ‘Dopo brevi sforzi’ — così scrive il giudice Marshall, nella sua classica Vita di Washington, riassumendo le disperate ripetute invocazioni e lagnanze che a centinaia sono sparse nelle lettere del grande generale e uomo di Stato — dopo brevi sforzi compiuti per rendere il sistema federale atto a raggiungere i grandi scopi per cui era stato istituito, ogni tentativo apparve disperato e gli affari americani si avviarono rapidamente ad una crisi, da cui dipendeva la esistenza degli Stati Uniti come nazione… Un governo autorizzato a dichiarare guerra, ma dipendente da Stati sovrani quanto ai mezzi di condurla, capace di contrarre debiti e di impegnare la fede pubblica al loro pagamento, ma dipendente da tredici separate legislature sovrane per la preservazione di questa fede, poteva soltanto salvarsi dall’ignominia e dal disprezzo qualora tutti questi governi sovrani fossero stati amministrati da persone assolutamente libere e superiori alle umane passioni’. Era un pretendere l’impossibile. Gli uomini forniti di potere non amano delegare questo potere ad altri; ed è perciò quasi impossibile, conchiude il biografo, ‘compiere qualsiasi cosa, sebbene importantissima, la quale dipenda dal consenso di molti distinti governi sovrani’. Ed un altro grande scrittore e uomo di Stato, uno degli autori della Costituzione del 1787, Alessandro Hamilton, così riassumeva in una frase scultoria la ragione dell’insuccesso della prima società delle nazioni americane:il potere senza il diritto di stabilire imposte, nelle società politiche è un puro nome».

I tristi avvenimenti di quegli anni dolorosi, le lettere solenni di Washington, in cui il male era denunziato sin dal 1783 e alle quali la storia giornaliera portava il tributo di continue conferme, condussero alla Costituzione del 1788.

Scene at the Signing of the Constitution of the United States, Howard Chandler Christy, Aprile 1940. Il dipinto è esposto presso la House of Representatives al Congresso degli Stati Uniti (fonte: Wikipedia)

Scene at the Signing of the Constitution of the United States, Howard Chandler Christy, Aprile 1940. Il dipinto è esposto presso la House of Representatives al Congresso degli Stati Uniti (fonte: Wikipedia)

In essa non si parla più di una «unione di Stati sovrani». È il popolo intiero degli Stati Uniti che pone la pietra miliare e realizza le indispensabili condizioni della Commonwealth. Il preambolo della Costituzione del 1788 — che è fondamentalmente quella vigente — dice solennemente: «Noi, popoli degli Stati Uniti, allo scopo di fondare una unione più perfetta, di stabilire la giustizia, di assicurare la tranquillità interna, di provvedere per la difesa comune, di promuovere il benessere generale e di assicurare le benedizioni della libertà a noi ed ai nostri successori, decretiamo e fondiamo la presente Costituzione per gli Stati Uniti d’America».

E costituisce difatti il governo centrale, con un potere legislativo ed uno esecutivo; al quale governo sono dati i poteri necessari per «raccogliere le milizie incaricate di dare esecuzione alle leggi dell’Unione, sopprimere le insurrezioni e respingere le invasioni»; per «dichiarare la guerra»; per «raccogliere e mantenere eserciti»; per «costruire e mantenere una flotta»; per «imporre e raccogliere tasse, dazi, imposte, accise, pagare i debiti, provvedere alla difesa comune ed al benessere generale degli Stati Uniti»; per «regolare il commercio con l’estero». E infine determina (art. III) il potere giudiziario centrale e ne stabilisce le attribuzioni.

Da quel momento gli Stati Uniti furono veramente, e poterono superare felicemente crisi formidabili, quale quella della guerra di secessione. […]

Giovanni Agnelli, Attilio Cabiati, FEDERAZIONE EUROPEA O LEGA DELLE NAZIONI? (28. Lega delle nazioni o Europa federale?). tratto da THE FEDERALIST, DIRITTI RISERVATI

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