Nel nome di padre Hamel, musulmani in chiesa in Italia e Francia. Reale solidarietà o trappola?

Dopo l’assassinio rituale di padre Jacques Hamel, decapitato mentre officiava la messa delle 9 nella chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray, il Conseil Français du Culte Musulman (CFCM) ha promosso l’iniziativa di portare in chiesa i fedeli musulmani, per tributare la memoria del sacerdote cattolico barbaramente assassinato. Ma una fatwa vieta l’ingresso dei musulmani in chiese e luoghi di culto, tranne che per fare proselitismo

Oggi in Francia e in Italia le organizzazioni islamiche parteciperanno con loro rappresentanti a messe cattoliche, come segno di partecipazione e solidarietà per il barbaro assassinio di padre Jacques Kamel, decapitato mentre officiava messa nella chiesa di Saint-Etienne a Saint-Etienne-du Rouvray, nei pressi di Rouen in Normandia.

Un omicidio rituale, tramite decapitazione, che rientra nella gestualità jihadista islamica, come si può verificare in ogni testo storico descrivente le incursioni saracene nel Mediterraneo, che si ripeterono con alterne vicende dal VII al XVI Secolo d.C. Oggi tali incursioni sono riprese, ma in ausilio interviene il dispositivo della Difesa italiana, che favorisce l’invasione di migliaia di migranti, spesso rifiutantisi di farsi identificare.

Oltralpe l’iniziativa di partecipare alla messa della domenica è stata promossa dal Conseil Français du Culte Musulman (CFCM), che è un organismo del Ministero dell’Interno regolato dalla Legge di Associazione del 1901 e che pretende di rappresentare tutti i musulmani di Francia.

In Italia hanno aderito varie rappresentanze islamiche, che in tutto il Paese porteranno i propri dirigenti in chiesa, in uno scenario di partecipazione che ancora non è chiaro. Sui social network si è diffusa la notizia che nelle chiese ospitanti visitatori musulmani non sarà esposto il Santissimo Sacramento e saranno coperti i crocifissi. Se così fosse, sarebbe un fatto di gravità inaudita, perché senza Cristo e senza Eucaristia la Chiesa e il cattolicesimo non esisterebbero.

In attesa di verificare come si svolgeranno queste funzioni e le parole che professeranno questi dirigenti dell’islam italiano e francese, non possiamo non rilevare che le attese masse partecipanti alla messa non ci saranno. Ci saranno solo esponenti di spicco di associazioni islamiche con forte connotato politico, in coerenza con la natura intimamente politica dell’islam.

Dirigenti che hanno taciuto (deliberatamente) alcune sentenze religiose (fatawa, plurale di fatwa, ndr) che vietano l’ingresso di musulmani nelle chiese cristiane, perché luoghi di falsa adorazione di Dio. Le chiese sono considerate nell’islam dei luoghi in cui i politeisti cristiani (politeisti perché credono nel Mistero della Santissima Trinità) adorano in modo falso Allah, tanto da usare la musica nelle funzioni, un atto vietato dal Corano in quanto peccato (haram).

Nella raccolta di Fatawa al-Lajnah ad-Da’imah (2/117), Fatwa numero 6876 (tratta da AlGhurabaa.net, qui) si spiega perché è inammissibile per un musulmano entrare in luoghi di culto non musulmani, anzitutto perché potrebbe creare un effetto emulazione, con potenziale abbandono dell’islam come conseguenza indiretta: la razionalità delle persone potrebbe avere il sopravvento di fronte alla comparazione tra le parole di amore per il prossimo (senza distinzioni di sorta) del cristianesimo e quelle di amore solo per i musulmani che si piegano alla sharia e di morte per chi si allontana dalla legge coranica e per gli infedeli tout court (ossia cristiani, ebrei e chi ha fede in altre religioni, come i bahai).

Ma la fatwa vera e propria argomenta – come in uso nella giurisprudenza islamica – che Al-Baihaqi (Abu Bakr Ahmad ibn Husayn Ibn ‘Ali Ibn Musa al-Khosrowjerd al-Bayhaqi, giurista persiano vissuto tra il 944 e il 1066, esperto di hadith sunniti) ha affermato che ‘Umar (ʿUmar ibn al-Khaṭṭāb, secondo Califfo della Umma Islamica dopo Abu Bakr) disse: “Non andate nelle chiese o nei luoghi di culto dei politeisti, perché li scende l’ira di Allah su di loro”.

Tuttavia, a questa regola ferrea si può derogare, secondo la fatwa, quando lo scopo vero del recarsi in una chiesa o in un luogo di culto è di invitare all’islam, ossia di fare proselitismo anche con modalità non lineari, attraverso la dissimulazione religiosa e la menzogna, giustificata se è propalata per favorire la comunità islamica e la gloria di Allah.

Questa sentenza religiosa è prevalente? Non è dato sapere. Esiste, le fonti sono autorevoli e di spessore, nella tradizione giuridica islamica. Ma una domanda sorge spontanea: perché i musulmani non hanno invitato i cattolici e gli ebrei a una preghiera ecumenica nelle loro moschee?

Le moschee non sono considerati luoghi sacri dai musulmani, come i cristiani-catolcii considerano le chiese. Non sarebbe stato un gesto di apertura a una nuova lettura rivoluzionaria (nel segno indicato il 1° gennaio 2015 dal presidente egiziano al-Sisi) del Corano e dei testi sacri dell’islam?

Registriamo solo che questo non è avvenuto.

Il rischio è quindi che un atto apparentemente pacifico si trasformi in una vittoria politica per chi – mentendo sapendo di mentire – afferma che l’islam non c’entri con l’attuale guerra di religione avviata dal cosiddetto Stato Islamico (per mezzo dei suoi adepti infiltrati in tutti i Paesi, anzitutto in Occidente) per sottomettere il mondo ad Allah e alla sharia.

Il rischio è che un buonismo di maniera che accantoni l’Alfa e l’Omega della verità dei fatti imponga una mordacchia de facto a chi sa, al contrario, che lo Stato Islamico è davvero islamico, perché applica Corano, Sunna e tradizione delle leggi musulmane, che gli islamici considerano promanate direttamente da Dio.

Il rischio è che la rincorsa a un irenismo senza pace, promosso con sensi di colpa oggi senza alcun fondamento, produca una ‘presa di possesso’ delle coscienze libere, una sorta di ‘rapporto di protezione’ dei cristiani a opera dei musulmani, anticamera del contratto di dhimma, il contratto con cui nei Paesi islamici i cristiani possono (soprav)vivere dietro il pagamento della Jizya (un vero e proprio pizzo mafioso).

Il rischio è che la gerarchia ecclesiastica cattolica – e cristiana più in generale – perda di vista che senza giustizia non c’è verità e senza verità non può esserci giustizia, a causa di un interpretato senso pacifista senza limiti, che ha già vilipeso i cristiani di Oriente – su cui finora ha pesato in prevalenza l’oppressione e lo sterminio operato da islamici – e che oggi mette in pericolo la sopravvivenza fisica dei cristiani in Occidente.

Papa Francesco non può non sapere che la guerra in corso è una guerra di religione totalitaria, perché mira alla soggiogazione del mondo alla sharia. Una guerra di conquista peggiore del nazi-fascismo e del comunismo, frutto dell’interpretazione deviata e diabolica del pensiero umano: oggi in gioco i musulmani integralisti mettono la parola di Dio contro la volontà degli uomini.

Una battaglia teoricamente impari e su cui il vescovo di Roma colpevolmente glissa.

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