Historia Magistra Vitae, ma in Italia l’ignoranza impera: non impariamo dal passato

Il presente convulso si lega al passato remoto in una serie di preoccupanti corsi e ricorsi storici di vichiana memoria. Ma il problema di fondo è che il decisore politico è del tutto ignorante in Storia, così da non comprendere che gli errori commessi nel passato sono ripetuti oggi in una preoccupante successione dall’esito in apparenza già scritto. Senza una reazione che ne corregga il verso…

Leggendo La storia d’Italia. Dalla caduta dell’impero romano al secolo VIII di Einaudi, ci si può rendere conto ben presto di come, a grandi linee, molti dei fatti accaduti all’epoca del crollo  dell’Impero possano far luce su fatti che accadono ai giorni nostri; e di come, historia magistra vitae, molte strutture evolutive delle cose possano essere validamente spiegate attraverso la lettura della nostra storia remota.

Non è necessario essere cultori di politica e neppure interessarsene in modo specifico: è sufficiente l’amore per l’indagine della struttura teoretica dei fatti, il desiderio di ricercare l’anima degli accadimenti che permette di comprenderli nella loro essenza ed essenzialità e di intelligere e, dunque, “vedere” con gli occhi invisibili dell’anima invisibile la loro intima connessione con tutto il resto del reale.

Stupiva, anni addietro, come al cadere della cosiddetta Prima Repubblica fossero poi entrati a far parte del gioco politico del Belpaese ogni sorta di persone dalla più variegata estrazione e formazione: imprenditori, industriali, medici, tecnici, persino scrittori, attori e sportivi. Il fenomeno appariva curioso e certamente qualcuno, tra un’uscita e l’altra con gli amici, un discorso sentito a tavola tra familiari o mentre sfogliava una rivista dell’epoca, non avrà mancato di porsi la domanda che sta alla radice di ogni vera ricerca: “Come mai? Perché?”. A distanza di 30 anni, qualcuno, ciascuno con esperienze diverse credibili ed incredibili alle spalle, ha incominciato a “leggere” le risposte di domande del passato prossimo – guarda caso – proprio nel racconto del passato remoto. 

Al tramonto dell’Impero la partecipazione all’attività politica offriva l’opportunità unica di partecipare al dominio del mondo, un mondo – l’Italia – che se allora era a capo di un Impero, pur anche oggi, nella sua piccolezza, è al centro delle civiltà convergenti attorno al Mediterraneo e permette di poter sedere a mensa con i grandi capi di altri stati e di diverse nazioni.

Se coloro che facevano parte del coetus politico della cosiddetta Prima Repubblica erano ormai politici di professione, vi era, tuttavia, un corteo di persone che politici in senso proprio non erano, ma con il loro “censo” influivano in modo pesante sulle scelte e le decisioni politiche del tempo. Se contribuisco a cucinare la torta, poi però me ne vorrò mangiare un pezzo. Sembra questo il caso, per esempio, del Cavaliere, che – guarda caso – porta il titolo di quell’ordine equestre che si oppose inizialmente all’ordine senatorio, l’ordine politico per antonomasia.

Da buon imprenditore e capace investitore, Silvio Berlusconi, in pochi anni arrivò a vantare un censo tra i più elevati del Paese diventando uno dei maggiori contribuenti economici del sistema Paese e ben presto fondò il partito politico chiamato Forza Italia, per mezzo del quale non solo entrò in politica, ma governò l’Italia dal 2001 al 2006.

Fu grazie a questo questo robusto conflitto tra senatori e cavalieri che la potenza di Roma antica mostrò tutta la sua sagacia e la sua capacità di dominio: anziché alimentare la crescente rivalità tra la declinante autorità senatoria e l’ordine degli equites, arricchitisi con speculazioni finanziarie ed economiche formalmente precluse ai senatori, il Senato incluse e assorbì questa nuova classe emergente. L’antica classe ormai piuttosto corrotta, un po’ decadente e non più così esclusiva, rendeva formale la propria non esclusività, riaffermandola. Fino ai primi tre secoli dell’Impero, infatti, l’esclusività del censo della classe senatoria ne delimitava, per così dire, i confini ideali, poiché solo le famiglie senatorie avevano sufficienti mezzi per adire al cursus honorum e, inoltre, era d’obbligo che i figli dei senatori si candidassero, mentre era prassi costante che conseguissero le molteplici e diverse magistrature disponibili.

Non è certo la stessa cosa, ma – mutatis mutandi – in quest’ottica acquista senso l’emersione di molteplici figure sulla scena politica passata, circostanza che allora pareva non aver senso alcuno. Le motivazioni e le modalità di assunzione della classe equitale nella classe senatoria danno almeno un tentativo di risposta, teoreticamente parlando, ovvero nella struttura portante, a domande che al tempo, forse, qualcuno poteva porsi. Una classe politica corrotta: chi non ricorda le arringhe di Di Pietro nelle aule dei tribunali in cui comparivano a giudizio coloro che fino ad allora erano stati gli statisti, i politici del Paese? Occorreva correre ai ripari immettendo una nuova e diversa acqua in un invaso che ormai incominciava a divenire stagnante e – come accade per le acque – le une si mescolavano alle altre senza creare conflitto, ma saturandosi l’una con l’altra.

Il racconto de La Storia d’Italia procede analizzando un secondo conflitto formale sociale che si profilava all’orizzonte allorquando il precedente tra senatores et equitates sembrava appena risolto: il conflitto tra i capi militari germanici e la sempre verde classe senatoria.

In un momento come l’attuale, in cui l’antagonismo di carattere etnico e culturale si innesta sulla problematica delle fortissime tensioni geopolitiche e su una tematica destrutturante come quella del terrorismo, comprendere bene e a fondo gli errori del passato per provare a non reiterarli nel futuro pare cosa di primaria importanza.

Tornando al passato remoto, orde di barbari bussavano alle porte dell’Impero, anzi premevano e quasi dilagavano: uomini di ogni lingua, di ogni etnia e nazione, che già avevano incominciato ad invadere silenziosamente e pacificamente l’Impero.

Per mezzo di varie Leggi e Costituzioni, dall’89 a.C. in poi, la cittadinanza romana era stata progressivamente estesa a tutti i cittadini abitanti all’interno dei confini dell’Impero, circostanza nobile, ma non bisogna dimenticare la validità politica di tali concessioni, elargite a cittadini lontani geograficamente, diversi per cultura, che mal avrebbero sopportato di essere esclusi dai privilegi della cittadinanza romana, pur contribuendo alla gloria politica, economica e soprattutto militare dell’Impero.

In caso contrario, avrebbero potuto scatenare rivolte, sabotare la stabilità dell’ordinamento politico, creare insomma una quantità enorme di problemi; dare a essi l’idea, almeno sulla carta, di godere degli stessi diritti e privilegi dei cittadini romani li teneva “sedati” e garantiva una certa tranquillità al potere centrale.

Quando i barbari entrati a far parte dell’esercito romano non ne salirono i più alti gradi, divenendone ufficiali di alto rango, non si dimenticarono certo delle loro origini al momento di scegliere da che parte stare.

Anche in questo caso non si può prendere la storia passata per oro colato e trasferirla tout court sulla nostra storia contemporanea: si possono semplicemente leggere le strutture teoretiche degli accadimenti, per cercare di imparare dagli errori del passato, onde non ripeterli.

Il fatto incontrovertibile è che oggi si assiste a una radicalizzazione islamista di elementi all’interno della Polizia e dell’esercito francese.

In un articolo pubblicato il 9 Marzo 2016 sul sito web del quotidiano francese Le Parisien, è stata riportata una nota confidenziale della Prefettura della Polizia di Parigi inquietante, in cui vengono fornite informazioni dettagliate sulla radicalizzazione, avvenuta fra il 2012 ed il 2015, di 17 casi di poliziotti. Nell’articolo di Yves Mamou, tradotto da Angelita La Spada sul sito di Gatestone Institute International Policy Council, si chiarisce che il fenomeno preoccupa anche l’esercito francese. Un testo molto interessante, che riporta alcuni specifici casi in modo puntuale, ma nell’economia della nostra riflessione ci preme sottolineare l’analogia tra passato e presente.

Nel momento in cui il potere politico sembra impotente e la vita di cittadini inermi è messa a rischio quotidiano di torture, vessazioni e delitti, è giocoforza naturale che il potere militare assurga a baluardo di quella specifica civiltà minacciata. Se però l’organo militare contiene già al suo interno elementi eversivi, proprio quell’organo che dovrebbe difendere l’intero organismo sociale da un attacco esterno, diventa lo strumento per devastare e aprire brecce alla forza barbarica che minaccia libertà e valori conquistati.

Ora è chiaro che non si può impedire che persone di ogni lingua, popolo e nazione entrino a far parte delle Forze Armate o di quelle di Polizia di un Paese elettivo (di prima o seconda generazione), ma occorre vigilare attentamente su questo dato, perché queste persone ‘estranee’ (quanto meno in origine) hanno accesso ad armi, banche dati ed informazioni sensibili che possono essere usate in modo diverso da quanto ci si aspetterebbe dopo il giuramento di fedeltà alla bandiera e alla Costituzione di questo o quello Stato.

A fondamento della nostra riflessione, concludiamo con una personale considerazione su un episodio avvenuto di recente in Toscana, dove un Carabiniere – di famiglia cinese e, quindi, dai tratti orientali – è stato inviato a ‘negoziare’ con cittadini cinesi che avevano creato disordini e tafferugli per protestare contro supposte discriminazioni amministrative. Con tutto il rispetto per la quotidiana attività che Carabinieri e tutte le Forze dell’Ordine svolgono a nostra protezione, troviamo però significativo che a parlamentare con i cinesi in Italia sia stato inviato un Carabiniere “cinese”.

Al riguardo, sembra che si ripeta l’errore di Stilicone, un vandalo che assurse – grazie a una concatenazione di eventi – a detenere la suprema responsabilità militare e politica.

Stilicone tentò una conciliazione con i Visigoti di Alarico, in un’apertura verso le popolazioni germaniche; ma proprio nel momento in cui la migrazione di Vandali, Alani e Svevi portava di qua del Reno orde di barbari, che dilagavano nella Gallia, i Goti di Radagasio già erano penetrati in Italia attraverso il Danubio e le Alpi. Mentre i Visigoti di Alarico premevano dall’Oriente illirico sulla Penisola, Stilicone fu ucciso.

L’esercito – ormai costituito in buona parte da truppe germaniche – andò in crisi, la corte imperiale non seppe che pesci prendere e Alarico irruppe e saccheggiò Roma nel 410 d.C. Un passato che sembra drammaticamente presente.

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