Morcone e Tortora, prefetti da destinare ad altro incarico

Mario Morcone è un politico che agisce dalla poltrona prefettizia di capo del Dipartimento Libertà Civili e dell’Immigrazione. Dalla vicenda di Goro e Gorino si dovrebbe trarre una conseguenza: destinare ad altro incarico anche il prefetto di Ferrara, Michele Tortora, affetto dalla malattia burocratica corrente: il disprezzo per i cittadini italiani. Renzi: “forse noi come Stato non siamo stati all’altezza”. Per una volta d’accordo

Sulla vicenda della ventina di donne e bambini proiettati a Goro e Gorino da una decisione del Ministero dell’Interno, tramite il prefetto di Ferrara, è stato scritto di tutto, indignazioni istituzionali comprese.

Ma non tutto è stato detto. Per esempio, sui prefetti Mario Morcone (nella foto di apertura) e Michele Tortora 20161026-pref-michele-tortora(nella foto a sinistra), il primo capo del dipartimento libertà civili e immigrazione, il secondo rappresentante del Governo a Ferrara.

“Se non vogliono vivere nello stesso posto dove diamo accoglienza ai profughi,  andassero a vivere in Ungheria. Noi staremo meglio senza di loro”, ha osservato ieri Morcone ai microfoni di GR1 Rai. Un fine ragionamento (si fa per dire…) che concludeva un’analisi ancor più sottile. Morcone, infatti, aveva osservato poco prima che i cittadini di Gorino si “porteranno appresso a lungo” un “amaro ricordo”, rilevando che “gli italiani che rifiutano l’aiuto doveroso a donne e bambini sono ottusi” e che si vergognasse di “averli come connazionali”.

Affermazioni incompatibili con lo status di Morcone, ma non con quello di una personalità politica, quale egli è, rientranti in una libertà di espressione di cui un servitore dello Stato non gode con la stessa leggerezza di un cittadino qualsiasi o di una personalità politica.

Mario Morcone è in realtà un politico che riveste una funzione istituzionale, valicando la Costituzione, che al secondo comma dell’articolo 97 impone: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Buon andamento? I numeri parlano chiaro. Imparzialità? Le parole sono pietre.

Le parole del capo dell’immigrazione sono compatibili con le sue funzioni? No, non lo sono, perché non tengono conto di un filiera di decisioni imposte con autoritarismo straccione, non con autorevolezza e condivisione col territorio. Nel Paese in cui si tessono lodi sperticate per ogni forma di concertazione sindacale, il Governo nazionale – per mezzo di ‘sgherri’ istituzionali come i prefetti – impone ai cittadini decisioni senza alcun processo di condivisione.

Il prefetto di Ferrara, Michele Tortora, è infatti il secondo termine di un paradigma vergognoso di gestione del territorio e di imposizione della scelta scelerata di accogliere indiscriminatamente migranti da ogni dove. A prescindere dalla situazione vissuta da quella ventina di donne e bambini, di cui i cittadini di Goro e Gorino nulla sapevano perché nessuno li ha informati. Anzitutto il prefetto Tortora, che cade dal pero.

“Chi sono io per giudicare? Io le barricate non le comprendo, ma alle barricate non si sarebbe dovuto neppure arrivare. Se io vengo a casa sua e le porto dieci persone, la avviso un po’ prima così che lei possa prepararsi, no?”, ha dichiarato infatti a ‘Il Fatto Quotidiano’ di oggi don Paolo Paccagnella, da oltre 25 anni parroco di Gorino, che ha poi rilevato: “Volevano mandare qui delle persone senza che neppure la popolazione sapesse niente. Volevano mandarla qui da un momento all’altro: ma che servizi ci sono qui a Gorino? Non ci sono le scuole, i bimbi devono andare a Goro. C’è un medico a ore solo alcuni giorni, una farmacia, due negozietti e nient’altro. Queste persone che volevano portare hanno bisogno di essere curate – ha sottolineato il parroco di Gorino – e non solo con il mangiare. Bisogna creare un sistema di accoglienza, sennò che cosa fanno qui? Quando si farà questo, allora l’accoglienza ci sarà di sicuro. Anzi sono io il primo a dare questo consiglio ai miei concittadini: essere accoglienti”.

Le parole di buon senso di don Paolo si scontrano infatti con l’insensibilità istituzionale del prefetto di Ferrara, che ha trattato la gente di quel territorio come sudditi, non come cittadini da coinvolgere in una decisione da spiegare. La sensibilità e l’umanità emiliane sono un caposaldo della cultura di quella parte d’Italia (come di molte altre), non scalfibili da polemiche strumentali a favore di decisioni fondate su un terzomondismo da accatto e un dispotismo a bassa intensità, forse prodromo di uno più incisivo e generale.

Del resto, la natura semi-dispotica della figura del prefetto è inscritta nei geni napoleonici della funzione, quale rappresentante del Governo nazionale in barba alle autonomie locali, al regionalismo e a ogni federalismo farlocco. Una stronzata intollerabile nel XXI Secolo.

Proprio per le loro insensibilità istituzionali, Mario Morcone e Michele Tortora vanno destinati ad altro incarico.

Andrebbero, sarebbe più corretto dire, da un ministro dell’Interno degno di questo nome, non da un personaggio come l’attuale responsabile del Viminale, demagogo pro domo (poltrona) sua, voltagabbana politico e concentrato su un obiettivo primario: sopravvivere politicamente. Tutto il resto è noia.

Ma questa decisione non sarà presa: Morcone continuerà a fare politica dalla posizione di prefetto capo del dipartimento immigrazione, Tortora continuerà a mantenere quell’altero distacco dalla popolazione che è stata la premessa per la mezza insurrezione dei cittadini di Goro e Gorino.

E allora – per una volta – viene da dare ragione a Matteo Renzi, che ieri sera a ‘Porta a Porta’ ha parlato sull’accaduto.  

“È una vicenda molto difficile da giudicare. Da un lato – ha rilevato il presidente del Consiglio – c’è comprensione, anche se non condivisione, nei confronti di una parte della popolazione molto stanca e preoccupata, dall’altra sono donne e bambini: forse noi come Stato non siamo stati all’altezza”.

Ecco, lo Stato italiano – attraverso i funzionari burocratici – spesso non è all’altezza dei propri compiti verso i datori di lavoro di tutti loro: i cittadini italiani.

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