Violenza contemporanea e cyber terrorismo nell’era della web society. Un’analisi sociologica

È evidente ancora oggi il tentativo da parte dell’essere umano di rimuovere ogni forma di aggressività distruttiva, relegandola a una dimensione estranea da sé e cercando di comprenderla. L’azione atroce e cruenta svela, infatti, ciò che dovrebbe rimanere nascosto: il desiderio di dominio violento dell’uomo su altri uomini (cfr. Cerretti, Natali, 2012).

Il criminologo Lonnie Athens (cfr. Athens 1994) fornisce una spiegazione alternativa alla tradizionale prospettiva che spiega il comportamento criminale violento come legato alla tesi della “malattia mentale” e secondo cui un individuo generalmente non è ritenuto “normale” se commette reati violenti, anzi appare come essere “irrazionale”. Athens parla delle situazioni in cui la vittima è stata lesa a livello fisico, oppure “violentata sessualmente […] sotto la minaccia di danni fisici concreti” (cfr.  Cerretti, Natali, 2012). Ciò fa riferimento al rapporto uomo-donna e alle relazioni familiari basate su rapporti di dominio e potere. Il termine “violenza” si intreccia spesso con il termine “sottomissione”, entrambe azioni esercitate essenzialmente attraverso le vie simboliche della comunicazione. La violenza è, quindi, una categoria dell’agire e del comportamento che fa parte dell’esperienza comune dell’essere umano; fa parte di quelle categorie che caratterizzano spesso l’interazione e che si fondano su emozioni come l’odio ed il disprezzo e che sono finalizzate al disconoscimento dell’altro.

Generalmente, la violenza all’interno di contesti sociali è caratterizzata da una “oppressione relazionale durevoleed immutabile nel tempo, ove si fa uso di strategie comunicative e comportamentali che mirano al dominio dell’altro, al totale controllo della vittima facendo perno appunto sull’oppressione (cfr. Bartholini, 2015). Se poi la violenza si evolve e va intrecciarsi con fenomeni criminali specifici e complessi come quello del terrorismo, l’analisi si amplia ancora di più, in particolar modo se si riconosce che, all’interno di tali categorie dell’agire umano, il processo di comunicazione-relazione ha un ruolo preponderante che è necessario analizzare e riconoscere.

Le relazioni tra individui sono elementi basilari per la vita sociale. Sempre più spesso capita però che i due attori sociali comunicanti, non condividano totalmente gli stessi significati nel codificare e decodificare lo stesso messaggio per cause culturali, linguistiche e psico-sociali (cfr. Corradi, 2009). All’interno di queste situazioni si verificano fasi di incomprensione, di assenza di feedback, che generano una condizione di “asimmetria” nella relazione tra gli attori sociali (cfr. Bartholini,  2015). La condizione di asimmetria produce quell’oppressione relazionale che contraddistingue e può facilitare il verificarsi di comportamenti violenti (cfr. Marotta, 2015).

È nostro dovere riprendere un’interessante definizione di violenza che ci viene fornita dal sociologo italiano Luciano Gallino (cfr. Gallino 2006): «[…] la violenza è una forma estrema di aggressione materiale compiuta da un soggetto individuale o collettivo, consistente nell’attacco fisico, psicologico intenzionalmente distruttivo, recato a persone o cose, che rappresentano un valore per la vittima o per la società in generale».

La storia ci ha rappresentato la violenza come risultante di un conflitto tra individui o gruppi. Il sociologo e criminologo americano Randall Collins (cfr. Collins 2008), dopo il tragico attentato dell’11 Settembre, formulò un nuovo paradigma della violenza, quello di “violenza contemporanea”, prendendo proprio l’11 Settembre come “data zero” di riferimento. Per “violenza contemporanea” Collins (cfr.  2014), intende una nuova forma di violenza che caratterizza la società contemporanea, frutto non di conflitti a priori, ma di mutamenti sociali, culturali comunicativi all’interno di nuovi contesti, senza tralasciare il ruolo dei media e i loro contenuti violenti, lo stile di film, serie tv, Telegiornali d’informazione, che puntano direttamente, senza limiti e tutele, ad attrarre l’attenzione dello spettatore con immagini cruente, mescolando realtà e finzione. Il “processo di civilizzazione” (ibidem), l’evoluzione della società, i nuovi media elettronici e digitali, il fenomeno della globalizzazione ed in particolare i cambiamenti politico-economici hanno influito fortemente sulle interazioni umane, cambiando radicalmente il modo di relazionarsi e di comunicare, di costruire e percepire la propria identità e realtà. Questo nuovo contesto, afferma Collins (cfr.  ibidem), ha portato l’uomo ad evolversi “psicologicamente” in maniera da acquisire una “propensione neurologica” ad evitare lo scontro fisico. Ciò avviene a causa di quella che il sociologo chiama the barrier of confrontational tension and fear: la barriera emotiva della paura e dello scontro.

L’aggiramento della barriera emotiva, però, può avvenire relazionandosi con altri individui: è un legame sociale che mette in crisi quell’“energia emozionale” che nasce con l’interazione (cfr. ibidem) e si verifica in cinque situazioni violente che il sociologo analizza facendo riferimento in particolare al fenomeno del terrorismo contemporaneo:

1) attaccking the weak: attaccare una persona debole ed indifesa (es: bulli, rapinatori, sequestratori ostaggi);

2) scontro tra combattenti disciplinati da regole e rivolto ad un pubblico di spettatori: il pubblico qui ha una forte influenza nella durata e nel livello di violenza dello scontro, chi combatte si concentra più sull’audience che sullo sfidante;

3) conflitto tra individui che si colpiscono a lunga distanza: la distanza fisica favorisce il superamento della tensione e della paura (es: omicidi per terrorismo );

4) uso strategico dell’inganno: la vittima non conosce il reo e le sue intenzioni (terrorista suicida); 5) concentrarsi sul “gesto tecnico violento” e sull’arma utilizzata invece che sulla vittima (situazione tipica dei cecchini).

In queste situazioni, l’individuo riesce ad esercitare la violenza “aggirando l’ostacolo dell’emotività” e a vincere la paura in quanto, sostiene Collins (cfr. ibidem), non si innesca nessuna tensione e «l’adrenalina dell’assassino riesce a fluire con maggiore calma, evitando di ridurre la sua lucidità». Chi commette violenza, sono coloro che riescono ad aggirare la tensione e la paura generata dal confronto e trasformare questa “situazione emozionale” in un vantaggio per loro stessi e in uno svantaggio per l’avversario; i nuovi media, i nuovi linguaggi hanno un forte peso su questo mutamento del fenomeno violenza.

Il tema del terrorismo prima ancora che quello della violenza, da sempre oggetto dell’attenzione di studiosi provenienti dalle più svariate discipline, rimane ancora oggi un vero e proprio enigma conoscitivo. Tradizionalmente, l’inquadramento dell’agire violento si è ridotto a modelli esplicativi che individuano nella “malattia mentale” o, altre volte, nell’“ambiente sociale” la causa del gesto deviante (cfr. Cerretti, Natali, 2012). Un esempio chiaro e recente di violenza contemporanea sono anche gli ultimi attentati che hanno colpito le città di Parigi, Bruxelles e Dacca e che, purtroppo, ci hanno rivelato, in parte, le nuove strategie e i modus operandi del neo-terrorismo e che vedono come carnefici e vittime allo stesso tempo giovani tra i 20 e i 30 anni, che per varie ragioni decidono di avvicinarsi alla violenza e al jihadismo. Il terrorismo contemporaneo sfrutta a proprio vantaggio tutte le potenzialità della società dell’informazione e si nutre e cresce anche grazie a questa. Si pone cosi un problema anche di tipo culturale legato alla concezione di violenza; nasce, afferma Gallino (cfr. Gallino 2006) una nuova forma di “violenza culturale”; non esiste più un unico centro culturale, ma sub-culture, una pluralità di opzioni valoriali spesso contraddittorie e differenti  (cfr.  Cipolla, 2012).

Già cinquant’anni fa circa, Marshall McLuhan (cfr. McLuhan 1967), il profeta del villaggio globale, teorico della comunicazione affermava: “Senza comunicazione non vi sarebbe terrorismo”. Quando McLuhan esprimeva questi suoi pensieri non esisteva ancora Internet, la CNN e la rete globale dell’informazione era in una fase embrionale.

Il neo terrorismo jihadista, come fenomeno criminale organizzato, ha subito, nel tempo, una sostanziale evoluzione.

Il cyber terrorismo presenta oggi quattro caratteristiche fondamentali: internazionalizzazione, transnazionalizzazione, globalizzazione ed in particolare la digitalizzazione. Senza dubbio, le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi hanno favorito la diffusione, condivisione e socializzazione dei contenuti mediali anche della propaganda terroristica, determinando la costruzione di un nuovo macro-ambiente virtuale, di nuove reti socio-virtuali, che costituiscono uno dei principali punti di forza del terrorismo contemporaneo: non a caso si parla oggi di “jihadismo globalizzato” (cfr.  Weiman, 2012). In contrapposizione a quello moderno, fondandosi su una forte radice ideologica-identitaria, il terrorismo contemporaneo trova nella cultura digitale la sua maggiore risorsa e ciò ha portato i relativi attori violenti ad argomentare il proprio progetto politico sanguinario, inscrivendolo in una specifica concettualizzazione e visione della vita, elaborata su un principio di esclusività  (cfr. Antinori, 2015).

È un fenomeno che si presenta in varie forme, si manifesta con nuovi tratti criminologici, ampiamente discusso  nella letteratura di settore. Quando si parla di terrorismo non è possibile rintracciare un orientamento prevalente rispetto a una sua definizione poiché si tratta, tra l’altro, di un fenomeno che si inserisce a metà tra la scienza politica, la sociologia e la criminologia. Una prima definizione di terrorismo viene offerta solo dopo la Rivoluzione Francese, quando il termine entra in uso nel linguaggio politico. W. Laqueur  (cfr.  1978) a tal proposito rimarca che: “I termini “terrorismo” e “terrorista” sono apparsi in data relativamente recente: il supplemento del 1798 del Dictionnarie della Académie Français dava il significato del termine “terrorismo” come système,  régime de la terror,  cioè sistema o regime del terrore”: una strategia messa in atto dai governi per sottomettere la popolazione, attraverso l’uso sistematico della violenza ai danni delle entità statali da parte di organizzazioni clandestine con finalità politiche/religiose. Per reato terroristico, inoltre, si intende “l’attività intenzionale posta in essere al fine di intimidire gravemente la popolazione, costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale” (cfr. Decisione Quadro del Consiglio 13 Giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo, 2002/475/GAI). Il terrorista sfida il monopolio statale dell’uso legittimo della forza e inevitabilmente, anche in termini di comunicazione, quindi di propaganda, negli istanti in cui l’attentato si consuma, l’azione terroristica stabilisce una superiorità rispetto allo Stato, una dimostrazione di forza che rappresenta ugualmente uno scontro politico, ma che è necessaria a garantire la pubblicità degli eventi sui media e il clima di tensione tra i cittadini. A partire però dal 2001 con l’attacco alle Torri Gemelle, assistiamo a nuove forme di terrorismo; fu Barry Collins (cfre., Collins 1997) a coniare il termine di cyber terrorismo per definire l’uso del cyber spazio per fini terroristici. Sempre nel 1997, Mark Pollit, agente speciale dell’FBI, offre una particolare definizione di cyber terrorismo come attacco premeditato a sfondo politico contro le informazioni, sistemi informatici e dati che si trasformano in violenza contro obbiettivi non combattenti da parte di sub gruppi nazionali. Dopo gli attacchi dell’11 settembre, il termine viene invece usato come esempio della minaccia di Al-Qaeda attraverso il web, ma il significato è ampliato nel tempo con nuove definizioni, spesso diverse in base al Paese di provenienza. Molti sono gli errori di interpretazione nella definizione di cyber terrorismo ove “cyber” è tutto ciò che riguarda il nostro strumento tecnologici elettronici, mentre “terrorismo” per sua natura è difficile da definire. Da tempo le organizzazioni terroristiche hanno ben compreso le potenzialità del web individuandolo dapprima come obiettivo di attacchi, ma sempre più intuendo le enormi potenzialità comunicative insite allo strumento. Il cyber terrorismo è generalmente inteso come attacchi illegali e minacce di attacco contro i computer, le reti e le relative informazioni contenute in essi al fine di intimidire o costringere un governo o il suo popolo a sostegno di determinati obiettivi politici o sociali. Inoltre, per qualificarsi come cyber terrorismo, un attacco dovrebbe tradursi in violenza contro persone o beni, o almeno causare abbastanza danni atti a generare paura come a titolo esemplificativo attacchi seri contro infrastrutture critiche. Attacchi che interrompono i servizi non essenziali o che sono soprattutto un fastidio costoso non sono definibile come cyber terrorismo  (cfr. Denning D.E., Cyberterrorism, Georgetown University, 2000). Un’altra definizione del cyber terrorismo è “attività di attacchi elettronici su infrastrutture critiche, furto di proprietà intellettuale in materia di ricerca e sviluppo e l’utilizzo di internet a scopi propagandistici e di comunicazione finalizzata alla rete terroristica” (cfr.  Europol, Eu terrorism situation and trend report, 2012).

Sono state individuate due distinte tipologie di cyber terrorismo:

Target oriented: la rete è intesa come obiettivo e come arma;

Tool oriented: la rete è intesa principalmente come strumento e come supporto.

Particolarmente interessante quest’ultima tipologia nella quale il web viene utilizzato a vari scopi come ad esempio:

– comunicazione sicura internazionale ed intercontinentale;

– condivisione di obiettivi, piani, addestramento a distanza;

– proselitismo e divulgazione del messaggio terroristico (new media, social media).

Negli ultimi anni, situazioni politico-economiche e l’uso dei mezzi di comunicazione hanno favorito e permesso di costruire nuove strategie e una “valida” propaganda di un nuovo gruppo terroristico che si basa su nuovi codici comportamentali di riferimento per i soggetti militanti, target prestabiliti  (cfr.  giovani in primis), obbiettivi di medio-lungo termine e utilizzo del web, nuovo ambiente virtuale costituito da nuovi linguaggi e dinamiche organizzative comunicative e di attacco che stanno determinando in modo identitario il nucleo vitale del neo-terrorismo. Non è da tralasciare il fatto che l’informazione ha acquisito un ruolo di sempre maggiore centralità, implementando le capacità di live reporting e streming degli eventi notiziabili, di spettacolarizzazione della violenza, del suicide-bombing, sempre alla ricerca incessante dell’audience, ma con un forte rischio di apprendimento ed emulazione di comportamenti violenti da parte dello spettatore, basti pensare agli attacchi a New York, Madrid e Londra negli anni precedenti  (cfr. Maistrello, 2010).

Da un punto di vista sociologico e criminologico l’aspetto più interessante e particolare è come sia strutturato, organizzato e come operi in rete il nuovo terrorismo contemporaneo di stampo jihadista, in particolare l’aspetto che concerne la costruzione di reti sociali criminali e le strategie di arruolamento e attacco adottate attraverso l’uso del web. Dall’analisi degli ultimi attacchi avvenuti e rivendicati dal gruppo terroristico Is a Parigi, Bruxelles e non solo, si nota come tale fenomeno si caratterizza per asimmetria, flessibilità operativa e capacità di interconnessione comunicativa tra i gruppi e i soggetti e grande abilità e conoscenza dei sistemi di comunicazione digitali. I neo-terroristi individuano il loro target principalmente sulla base del suo valore simbolico; e grazie alla piattaforma Internet i gruppi si aggregano organizzando attacchi e scambiando informazioni in network virtualizzati, disseminando video-attestazioni delle proprie gesta e soprattutto persuadendo i giovani ad arruolarsi ed abbracciare la propria ideologia attraverso forum,  chat e social media,  (cfr. Antinori, Marotta, 2007).

La globalizzazione della violenza terroristica viene oggi favorita dall’ampia diffusione e condivisione delle informazioni digitali, dallo sviluppo tecnologico mediale e dalle interconnessioni sul piano politico-economico (cfr. White, 2013). Secondo Alberto Fernandez, coordinatore del Center for Strategic Counter-Terrorism Communications per conto del Dipartimento di Stato statunitense, l’ISIS rappresenta il punto di riferimento in termini di qualità e quantità della propaganda politica e ideologica. Il sistema di distance learning (insegnamento/apprendimento a distanza) è un’innegabile risorsa strategica con la quale il messaggio jihadista raggiunge commilitoni e simpatizzanti, rafforzandone i legami e creando attività collettive internazionali. Tra gli strumenti più usati troviamo forum, magazine e corsi online che forniscono ai visitatori materiali audiovisivi di apprendimento su svariati argomenti: dalla costruzione di armi biologiche alle tecniche di sequestro, aggiornamenti e notizie sull’organizzazione e pubblicazioni.

Dabiq è il magazine online ufficiale dell’ISIS e rappresenta una versione più curata di Inspire e Al Shamika (cfr. Ballardini 2015). In aggiunta, bisogna certamente considerare il supporto globale di simpatizzati alla causa jihadista. Famoso è il caso di Grand Theft Auto: Salil al-Sawarim, video gioco ideato da un supporter indipendente, riprende le dinamiche di GTA in stile ISIS. La Social Media Strategy del Califfato è complessa e ben articolata. Oltre ai tradizionali social come Twitter, Facebook e YouTube, l’organizzazione si rifà anche ad altri social network (come ad esempio Diaspora, dopo la chiusura di account ISIS sui social citati). Ulteriore novità introdotta dall’organizzazione sono certamente forme di terrorismo partecipativo. In aggiunta alle capacità comunicative e di marketing, l’ISIS si distingue per cultura, preparazione e intraprendenza tecnologica dei propri cyber combattenti. Non solo attacchi di terra, digitali e hackerism, il Califfato ha creato app e software specifici per le proprie esigenze strategiche, promosse e utilizzate da migliaia di follower. I trend operativi del nuovo terrorismo sembrano aver determinato un’interessante mutamento sociale, politico, culturale e anche criminologico rappresentato da:

– polarizzazione della sicurezza: concetto sempre più connesso sul piano criminale, quasi esclusivamente alla percezione della costante presenza della minaccia terroristica latente (cfr. White, 2013);

digital warfare: costruzione ed attestazione a livello digitale-mediale di un nuovo ambiente di interconnessione, conflitto, comunicazione e promozione terroristica  (cfr.  Colarik, 2007).

C’è un’ulteriore questione da non sottovalutare da un punto di vista socio-antropologico: le dinamiche emotive del terrorista, l’essere anche esso stesso un individuo e riconoscerlo come tale. Gli studiosi S. Cottee e Hayward  (cfr. Cottee, Hayward 2011) nella rivista Studies in Conflict and Terrorism invitano, più che a normalizzare, ad “umanizzare “ il criminale; si riferiscono principalmente ai terroristi, considerandoli prima di tutto uomini dotati di emozioni e sentimenti propri, potenzialmente capaci di non superare “la barriera emotiva della paura e dello scontro”.

Gli studiosi di terrorismo, in particolare, hanno a lungo trascurato questo aspetto sotto il profilo socio-culturale: la voce tremolante, lo sguardo agitato, la contrazione del viso del terrorista, in realtà assumono una grande importanza e accrescono la nostra conoscenza del terrorismo (cfr. Orsini 2013). L’obbiettivo strategico che le Istituzioni dovrebbero porsi oggi, consiste nel conoscere, individuare e comprendere meglio la costruzione di nuove reti sociali e il nuovo target, principalmente giovanile, dei criminali terroristi. Meglio ancora, si indagherà sul legame tra criminalità e società del web, legame oggi inevitabile e che è fortemente presente in un costante fenomeno che caratterizza la nostra quotidianità: il terrorismo. Un fenomeno mediatizzato e digitalizzato che non nasconde, anzi sfrutta la forza e il successo della rete, per mostrare qualsiasi forma di violenza, con un forte rischio contagio e l’aumento esponenziale dello spontaneismo violento di massa.

La maggior parte delle analisi e ricerche sui terroristi sono state focalizzate finora  sulle loro ideologie e possibili psicopatologie, mentre di recente diversi studi  (cfr.  Sageman 2004, Gambetta 2005, Stern 2003) hanno concentrato l’attenzione sulle reti e le strutture organizzative di reclutamento, addestramento e supporto.

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