Oscar Giannino, un uomo solo al comando della menzogna

Politica – Il colpo di scena pre-elettorale

È venuto il momento di togliere valore legale al titolo di studio.

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Conoscete tutti la storia di Oscar Giannino, da qualche giorno saltato ancor più del dovuto (elettorale) agli onori della cronaca, perché “sbugiardato” sul proprio curriculum vitae e la esibizione di un master mai conseguito. Come ha detto bene Stefano Folli su “Il Sole 24 Ore” il comportamento di Giannino è materia più per psicologi, che per analisti politici.

Si dà il caso però che il giornalista piemontese sia stato un autorevole comunicatore in materia economica, ascoltato consulente di importanti imprese, conferenziere brillante e formatore di rilievo perfino di funzionari pubblici del Tesoro. Attività che ha potuto compiere con perizia, competenza, professionalità, che non verranno meno dopo la débâcle di verità in cui è incorso.

Ci sono dunque due aspetti interessanti nella vicenda.

Il primo riguarda la veemente reazione seguita alla denuncia di Luigi Zingales, docente in quella Booth University di Chicago in cui Giannino millantava di aver conseguito un master in economia (senza specificarlo, ma con ammiccamenti che potessero indurre a ritenerlo vero). È sembrato che, d’un tratto, nella storia italiana (recente e non) nessun personaggio pubblico fosse stato preso in fallo, nel pieno di una contraddizione tra il proprio dire e la consuetudine del fare. Tutti puri e intonsi. Una sorta di rivincita di riflesso per le denunzie della partitocrazia di Giannino.

Il secondo aspetto interessante è che Giannino ha compiuto un gesto inedito per la politica italiana: ha fermato il proprio declino, ha chiesto scusa, si è dimesso dalla presidenza del movimento da egli stesso co-fondato e ha messo a disposizione del partito il seggio alla Camera, nel caso in cui fosse eletto. Gesti che non trovano pari nella storia dell’Italia repubblicana.

Eppure, nel modo peggiore possibile, Giannino ha sollevato il coperchio di una pentola in ebollizione, in un Paese che è oppresso dalla burocrazia e dalla droga documentale, cartacea; ha portato nel modo più sbagliato argomenti a favore dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, totem dietro cui si nascondono le moltitudini di incapaci, ma in possesso del famoso “pezzo di carta”. Uno scudo spaziale per schermare spesso la propria impudente incompetenza.

L’abolizione di questo residuo feudale della filiera formativa italiana sarebbe un buon mezzo per responsabilizzare tutti i lavoratori, mai più protetti dal “pezzo di carta”, ma soggetti al processo continuo di aggiornamento delle competenze, prescindendo dai titoli accademici e non.

Insomma, una via per favorire l’emersione del merito a detrimento delle rendite di posizione certificate con marca da bollo. Una via per modernizzare il Paese, rompere la catena dell’ignoranza, favorire le competenze anche se autodidatte, restituire all’università la missione di essere fucina di idee e di professionalità, non opificio di attestazioni vuote, elargite senza attenzione per la qualità del prodotto.

Resta però un quesito di fondo: se il Tesoro italiano ha bisogno di avere formatori esterni, non riesce a supplire con risorse interne ai propri bisogni formativi. Roba da mi0steri d’Italia…

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