La nostra Algeria si chiama “immobilismo”. La sparatoria davanti a Palazzo Chigi mostra quel che non serve all’Italia

Azione folle e isolata di un disperato, ma le parole usate come pietre possono fomentare gli instabili e sono destinate ad avere un effetto contrario: quello di stabilizzare la partitocrazia

Anti-Independence Crowd

Questa mattina, come potrete leggere nella cronaca di Walter Giannò, due carabinieri sono stati feriti da Luigi Preiti, un muratore disoccupato con una grave situazione familiare (e molti debiti di gioco…), proprio mentre al Quirinale i membri del governo Letta giuravano di fronte al capo dello Stato. Ha colpito la contemporaneità dell’azione, poi rivelatasi isolata, con l’insediamento del governo, ma in un primo momento si era temuta un’azione coordinata, tanto che pare sia scattato il piano di emergenza a tutela del governo e dei membri degli organi costituzionali, elaborato e approvato nelle settimane successive all’11 Settembre.

Come al solito, si sono moltiplicati – soprattutto sui social network e sui media on line – le analisi, le ricostruzioni, le individuazioni delle matrici e dei responsabili. La crisi economica e le difficoltà sociali correnti sono state individuate come il brodo di coltura della fenomenologia della reazione popolare verso un potere oppressivo.

Questo perché al governo Monti si attribuisce la colpa di aver soggiaciuto supinamente alle pressioni del governo tedesco, promotore della politica di austerity a livello continentale. Un mezzo che Angela Merkel sta usando da due anni per vincere le elezioni politiche e disfarsi della Große Koalition nel prossimo mese di settembre. In breve, la Germania sta esercitando un’egemonia di cui non si trova traccia in alcuno dei trattati che regolano il processo di integrazione europea. Un’egemonia possibile solo per l’inferiorità altrui, di Italia e Francia in primis.

Ma sarebbe un gravissimo errore attribuire alla Germania della Merkel lo stato del debito pubblico e la vergognosa situazione dell’economia italiana, in crisi non tanto per l’incapacità degli imprenditori (capaci di scalare l’Everest al trotto…), quanto di uno Stato costoso e pesante, dalla burocrazia vergognosa, dal fisco estorsivo. Situazione frutto della generale disattenzione dei cittadini italiani, che hanno legittimato per decenni un sistema politico corrotto, una burocrazia inefficiente e un fisco aggirabile con l’evasione fiscale.

Il progresso dell’integrazione europea – nel desolante quadro di personalità politiche continentali di qualità mediocre – ha reso inevitabile l’attorcigliarsi del quadro economico e istituzionale italiano, cui la partitocrazia sta cercando di reagire con un colpo di coda di dignità nazionale.

Il sistema partitocratico ha potuto vivere solo in una situazione geopolitica bloccata e resa immobile da chi da una parte voleva il Paese libero e tra le grandi democrazie dell’Occidente; e chi, al contrario, faceva al momento buon viso al cattivo gioco, ma sognava per l’Italia lo scivolamento tra gli Stati “democratici” sotto l’ombrello protettivo (si fa per dire) del Patto di Varsavia.

20130428-giorgio-napolitano_350x250Senza richiamare questa divisione e questo blocco, non si può interpretare con correttezza la degenerazione partitocratica intrisa di corruzione. Corruzione che nutrì sia partiti di governo (grazie anche ai finanziamenti governativi provenienti dagli Stati Uniti), sia il più grande partito di finta opposizione, il PCI, ampiamente finanziato da Mosca e dall’Unione Sovietica. Finta opposizione perché la “clausola ad exludendum” impediva al PCI dal partecipare al governo nazionale, ma non a quello delle autonomie locali, dove si è consolidato buona parte del debito pubblico costruito attraverso il foraggiamento del reticolo di clientele politiche.

Lo scoppio di “Tangentopoli” eliminò una parte classe dirigente, ma ne salvò quasi del tutto un’altra, con il perfido effetto di eternare quella situazione di blocco, in virtù della quale qualcuno ha potuto spacciare all’opinione pubblica una superiorità morale che non aveva, altri hanno dovuto abbassare il capo per superare la bufera, in attesa di tempi migliori. L’immobilismo che ne è derivato non ha trovato vie d’uscite, in attesa di un big bang esterno che imponesse il cambiamento.

Alcuni hanno inteso vedere questo big bang nelle pressioni tedesche per un risanamento rapido, ma tanto in grado di curare la malattia, quanto di far morire il paziente. Una via d’uscita in grado di essere un’uscita senza vie di fuga, senza meccanismi di emergenza, senza possibilità di sopravvivenza. Cecità assoluta.

È facile oggi per qualcuno intimare “arrendetevi” a una classe politica ampiamente dequalificata perché immobile, non solo perché corrotta: però, se la corruzione attiene all’ambito penale e alle responsabilità individuali, l’immobilismo politico è una colpa storica collettiva, di cui tutti partiti sono colpevoli, soprattutto quelli più attenti alle proprie combriccole e ai bilanci elettorali del momento, che allo Stato del Paese. Con buona pace del realismo politico indispensabile per guidare uno Stato.

È l’immobilismo la nostra Algeria. Nonostante le precisazioni del presidente Napolitano sulle qualità del governo Letta 20130428-de-gaulle-charles_350x250(senza aggettivi, dice il capo dello Stato), è a tutti evidente che Enrico Letta agisce come braccio intelligente e presentabile di un presidente che ha smesso di presiedere e garantire l’Unità Nazionale, per assumere gli stessi panni di Salvatore della Patria assunti dal generale Charles de Gaulle ai tempi della rivolta algerina.

Richiamato quasi all’unanimità al Quirinale, Napolitano sta giocando un ruolo chiave per l’uscita dalla palude istituzionale e politica che costituisce – a nostro avviso – la vera causa del declino economico italiano. Napolitano/de Gaulle ha chiamato Letta a svolgere il ruolo di salvatore della forma parlamentare della democrazia italiana, che invece è immersa in un limbo semi-presidenziale in potenza pericoloso, se solo al Quirinale ci fosse qualcuno con minore sangue freddo e meno rispetto per le istituzioni. Ma è, con tutta evidenza, l’unica via possibile per dare all’Italia nuove istituzioni politiche e una nuova organizzazione costituzionale, per passare alle riforme utili e lasciare la palude.

Cosa c’entra la sparatoria davanti a Palazzo Chigi con l’immobilismo/Algeria italiana?

C’entra, perché Luigi Preiti mostra quel che all’Italia non serve: il ricorso alla cieca violenza, che colpisce servitori dello Stato e che finisce per rafforzare la partitocrazia italiana e per eternare l’immobilismo. Serve, invece, l’isolamento dei violenti (di ogni tipo, risma e colore), la marginalizzazione degli incapaci, l’espulsione dalla cosa pubblica dei demagoghi.

Se così non sarà, Napolitano e Letta potranno registrare anche un moderato successo momentaneo, ma nel medio termine l’Italia non ne beneficerà e si ritroverà più povera di italiani, perché molti di vivere in questo Paese disorganizzato, corrotto e asfissiante non ne possono più.

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