La nomina di Cécile Kyenge a ministro dell’Integrazione è un segno di evoluzione della politica italiana, ma non sia un’oculista cieca (politicamente parlando…)

La medico congolese, naturalizzata italiana, può portare una chiave di lettura diversa dei problemi degli immigrati, ma sbaglierebbe se pensasse all’integrazione in termini di imposizione di politiche non condivise

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Cécile Kyenge è un medico modenese nata in Congo. Già questa definizione dovrebbe far capire che da queste modeste colonne non si sentirà mai niente che sia, neanche per errore, scambiabile per razzista. Siamo portatori di valori cattolici, ossia universali, e l’appartenenza al genere umano non lascia spazio a distinzioni di colore di epidermide o di lingua o, perfino, di religione.

Il nostro pilastro interpretativo è il rispetto della persona umana: rivendichiamo per noi lo stesso rispetto che abbiamo il dovere di prestare agli altri, “piccola” regola generale senza deroghe. Per questo motivo, non daremo conto delle offese pervenute alla neo ministro per l’Integrazione, da e sui social network. Sarebbe dare spazio agli imbecilli, alle manifestazioni scomposte di pensiero o ai maleducati tout court.

La nomina di Kyenge a ministro per l’integrazione è un segno di crescita della società italiana, un segno positivo dei tempi, un esempio di integrazione. Tuttavia, scorgiamo all’orizzonte un problema, che non può passare in secondo piano e che solo Cécile Kyenge può risolvere subito, come premessa per un lavoro proficuo per l’Italia, per tutta la comunità nazionale. Perché una cosa sono le offese maleducate, un’altra sono le critiche – anche feroci – all’operato di ciascun public officer. Se è doveroso attendersi che per le prime non ci sia alcuno spazio, altrettanto connaturato alla vita politica è ricevere critiche, anche rudi, sulle opinioni espresse, sulle politiche proposte, sulle soluzioni individuate per risolvere i problemi che ogni amministratore pubblico si trova ad affrontare.

Cécile Kyenge non può pensare che ogni critica sia derubricata, ipso facto, a manifestazione razzista, perché in tal caso il problema lo porrebbe lei stessa: una malcelata inadeguatezza al ruolo, come minimo. E allo stesso tempo, Cécile Kyenge non può pensare che “integrazione” significhi brutale imposizione degli immigrati, dei loro usi e costumi (anche quelli più estranei alla cultura autoctona) da parte degli indigeni, e non – al contrario – mediazione nella conoscenza reciproca, ma anche rispetto dei valori maggioritari nel Paese. Nel primo caso, gli italiani (quelli che lo sono per trasmissione ereditaria plurigenerazionale) sono destinati a scontrarsi con i “nuovi italiani”, ossia coloro che hanno eletto l’Italia come seconda patria, come isola del tesoro dei propri sogni, come terra per rialzare le proprie chance di felicità.

Questo compito è più arduo di quello imposto a Cécile Kyenge dai propri doveri di ministro. Sembrerebbe – ma speriamo di essere smentiti dai fatti – che il debutto della medico modenese sia stato infelice. La Legge Bossi-Fini che stabilisce il reato di clandestinità non è stata approvata dall’organo legislativo di un regime nazifascista, ma da quello di un Paese democratico, da un Parlamento espressione dell’opinione prevalente nel Paese. Se ne faccia una ragione.

Nascondere ai propri occhi di ministro i problemi connessi all’immigrazione incontrollata, non selezionata e aperta alle consorterie criminali più disparate – come se non bastassero quelle autoctone – sarebbe un grave errore di cecità politica. Un ossimoro pericoloso per un’oculista prestata alla politica.

Buon lavoro Cécile Kyenge, non cavalchi tigri di vento e apra gli occhi ai problemi in modo laico. Si immedesimi nel più retrivo dei leghisti per risolvere (o almeno tentare) i problemi di convivenza tra immigrati e italiani. L’Italia e tutti gli italiani hanno bisogno di pace sociale, non di incendiari di ogni risma ed estrazione.

PS
Per questioni personali, chi scrive si è imbattuto nella cultura prevalente di un territorio – quello del veronese – considerato dagli osservatori con le bende agli occhi territorio razzista perché ad alto tasso di leghismo politico. Niente di più falso. A Verona abbiamo sperimentato umanità, professionalità medica, affetto umano. Chi giudica caricato di pregiudizi in noi produce sono due effetti: il nostro disgusto e un chiaro disgusto. Nessuno tocchi il “nostro Veneto”. Per dire…

PS2: Per un errore di revisione del testo, nel secondo periodo è stata in precedenza riportata la seguente frase: rivendichiamo per noi il rispetto che vogliamo dagli altri. E’ un evidente errore. La versione corretta è “rivendichiamo per noi lo stesso rispetto che abbiamo il dovere di prestare agli altri“. Ce ne scusiamo vivamente con i lettori.

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