Lauda, Fuji ’76: il tenente Donnini scova il “pentito” colpevole del ritiro. La sentenza è inappellabile, ma sorprendente…

Un altro colpo di scena nell’indagine sul mistero del “GP del Giappone 1976”. Scovato il colpevole della sconfitta, si nascondeva nei meandri di una coscienza sempre in bilico tra la confessione e il giubilo, ma con gli occhi pieni di commozione. Come quando si vede morire una persona e poi, magicamente, la si vede rinata. Niki, che ha già perdonato, forse non sapeva che Hunt… Storie di savoir faire

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Il tenente Mario “Ezzechiele Sheridan” Donnini ha continuato a percorrere indefesso la via della giustizia e questa settimana, sempre dalle colonne del settimanale giudiziar-motoristico “Autosprint”, ha presentato ulteriori prove per arrivare alla verità sui fatti del Fuji.

Con la sua sigaretta perennemente accesa, ha scandagliato le parole dei testi – come raccontatovi la scorsa settimana – dopo averli spremuti come limoni, al tal punto che il fisco italiano in confronto è un pomicione dolce e delicato. Ha illuminato i loro volti, fino a farli confessare (tranne Mauro Forghieri, che avrebbe fatto a Donnini anche cose mai fatte: ma l’ingegnere modenese resisteva perfino al Commendatore, figurarsi…).

La scorsa settimana però, ascoltando l’ultimo teste, c’era qualcosa che non tornava. Così, questa settimana il nostro Donnini/Sheridan ha deciso di scoprire tutta la verità dei fatti e, come, come nei film americani, usa un espediente per trovare il bandolo della matassa. Al posto della macchina della verità o di una fiala di Pentotal, ha usa altro: la passione per le corse e per la vittoria.

Quindi, ha deciso di riconvocare il teste Audetto Daniele, nato il 4 maggio 1943 a Torino, un ragazzo di 70 anni, che nell’automobilismo e nel motorsport ha fatto tutto, tranne annoiarsi. Pressato dalle insistenti domande del tenente Donnini/Sheridan, prima tenta una flebile resistenza, poi si lancia in un grido liberatorio.

«Sono stato iooo, è colpa miaaaa». La confessione piena, un effluvio di emozioni contrastanti. «Ribadisco la mia testimonianza, la confermo e la rafforzo» dice Audetto, con in mano il codice penale di guerra (per fortuna solo sportiva). «Il ritiro di Lauda terrorizzato dalla pioggia è una balla che per anni è stata raccontata all’opinione pubblica per celare una realtà ben diversa».

Come una balla? «C’era un accordo preciso nel pre-gara» svela finalmente e senza timore l’ex direttore sportivo del Cavallino Rampante «anche se non unanime, promosso da me e garantito da Ecclestone. Si parte per fare contenta la TV e dopo pochi giri tutti i big si fermano, Hunt e Lauda compresi». Tra chi non era parte del “complotto” Regazzoni, all’ultima gara con la Ferrari, e Peterson, che alla Ferrari avrebbe dovuto andare al posto di Lauda, ma poi tutto saltò per “ordini dall’alto” (zona Mirafiori…).

«Neanche Forghieri sapeva niente, ma io si». Si può solo immaginare come avrà reagito Forghieri quando lo ha saputo…cose da fare tremare la Bassa… «È tempo di svelare il nome dell’uomo che è il vero responsabile della sconfitta Ferrari del Fuji e della perdita del titolo di Niki» dice a un certo punto Audetto, facendo scendere il gelo nella “stanza degli interrogatori” di San Lazzaro di Savena, dove si pietrifica a quel punto perfino il fumo delle sigarette; i telefoni si ammutoliscono; le macchinette del caffè dispenserebbero acqua distillata, se solo avessero un’anima.

«Quel mondiale fu perso per colpa di una testa di cazzo che risponde al nome di Daniele Audetto» dice il reo confesso «la colpa è tutta mia». «Avrei dovuto dargli un pugno nel casco, dirgliAdesso tu torni in pista, vai piano ma rientri, aspetti che si fermi anche Hunt e non t’azzardare a trasgredire”. L’avessi fatto» confessa con la rabbia della passione ex post e la freddezza dei 37 anni passati bene «lui non poteva dire di no». Perché, ammette «c’era l’accordo di fermarsi, ma lui doveva farlo solo dopo che si fosse stoppato James».

A questo punto a chiunque legga questo interrogatorio viene in mente il quesito seguente: “perché non lo ricacciasti in pista, senza esitare?”. Conoscendo la storia di Daniele Audetto non si può disconoscerne la competenza manageriale, la fermezza caratteriale e l’astuzia. Il quesito è istantaneo, tanto che è lo stesso manager torinese a sciogliersi nella confessione più piena. «Niente, non ebbi cuore di infierire su Niki. Appena lo vidi fermo mi rivenne in mente il suo volto distrutto nell’infermeria del Ring e non me la sentii di dargli quel cazzotto sul casco». Se fossimo in altre dimensioni di umanità, il pianto a dirotto ci starebbe tutto. Ma qui parlano uomini, con un cuore da corsa.

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Audetto andrebbe mandato in tutte le università italiane a raccontare questa storia, che insegna più di tanti libri di management e di gestione delle risorse umane. Dopo quasi quattro decenni ha ceduto al tenente Mario Donnini, che così può togliersi l’impermeabile reso immortale da Ubaldo Lay, per indossare la toga e tenere la sua arringa, unico investigatore in grado di assumere anche la Pubblica Accusa, il sogno di Antonio Di Pietro e Henry John Woodcock.

Non prima di aver estorto al reo confesso altre chicche, come quella su James Hunt, che ha rischiato seriamente di diventare ferrarista, stoppato da regole di cortesia industriale non scritte, alle quali Enzo Ferrari non si sarebbe piegato – perché superiore a queste delicatezze – ma che altri a Torino preferirono non violare. Tutto questo nel film “Rush” non c’è e non si vede come avrebbe potuto essere riportato. La realtà per una volta è più articolata della fantasia e, forse, anche migliore.

Donnini si lancia così in un’ideale arringa, memorabile, stringata, secca, inattesa nelle conclusioni e nella richiesta della pena. Un cold case particolare che richiede un epilogo adatto. La narrazione dei fatti circostanziata, corroborata anche da altri inediti (comprate Autosprint per scoprirli, anche questa settimana ne vale la pena: lo dico gratis et amor dei), ulteriori prove inoppugnabili.

La sentenza è chiara, inappellabile (Strasburgo non ha giurisdizione qui, con sollievo di tutti…).

“In nome del popolo del motorsport e della Formula 1, riunito in Alta Corte per valutare il delitto citato nel capo di imputazione – “dissolvimento fraudolento di titolo iridato” – di cui al preambolo;

– visti i reati ascritti agli imputati;

– dichiarata la contumacia di Ecclestone Bernard, detto “Bernie”;

– annotate le testimonianze a discapito e quelle a carico;

– sentiti il pubblico ufficiale incaricato della indagine nella persona del tenente Sheridan Ezzechiele, all’uopo incaricato di agire sotto la copertura di giornalista con l’identità di Mario (omissis);

– valutata l’arringa della Pubblica Accusa (ibidem);

– considerati i fatti ascritti al signor Audetto Daniele, di professione manager;

– attese le risultanze delle indagini;

 – valutata la non costituzione di parte civile dell’offeso, Lauda Andreas Nikolaus, detto “Niki”;

si dichiara il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato per tutti gli indagati, la non menzione nella fedina penale (sportiva) del suddetto Audetto Daniele, il proscioglimento di Ecclestone Bernard detto “Bernie”.

Si prescrive altresì la concessione al signor Audetto Daniele del titolo onorario di “uomo da Cuore da Corsa”, per il rispetto e l’umanità mostrate in un momento di particolare difficoltà.

Si ordina la divulgazione integrale della sentenza e degli atti dell’indagine nella copia numero 39 del settimanale “Autosprint” in edicola dal 1° Ottobre 2013.

La seduta è tolta, la corte è sciolta”.

Forse…

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.