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TFF31: Greta Gerwig racconta il “making of” di Frances Ha presentato ieri a Torino

L’attrice e sceneggiatrice del film di Noah Baumbach risponde alla stampa del festival

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Greta Gerwig (al centro) durante la conferenza stampa di Frances Ha

Greta Gerwig è stata protagonista di un bel dibattito nella conferenza stampa allestita in giornata, la terza del concorso; l’attrice ha parlato di Frances Ha, film che ha scritto insieme al regista Noah Baumbach.

Il film scorre che è una meraviglia e la sceneggiatura trasmette leggerezza. Deve esserci voluto molto per arrivare ad ottenere il risultato finale in termini di scrittura.

Si, abbiamo impiegato un anno a scrivere il film, ovviamente è il tempo che serve a far sembrare tutto molto naturale e per nulla forzato.

L’idea di girare in bianco e nero è stata presa subito o in seguito?

A dire il vero è stata una decisione immediata. Volevamo scrivere una sorta di lettera d’amore a New York e abbiamo pensato che non ci fosse nulla di più poetico che riprenderla in quel formato. Per arrivare alla giusta tonalità però abbiamo fatto diversi test con la videocamera.

Avevate già in mente di citare con riferimenti sparsi la Nouvelle Vague o un certo cinema di Cassavetes?

In realtà ci capitava raramente di parlare di Nouvelle Vague o di altri tipi di citazioni e riferimenti; molti di questi sono emersi solo a riprese ultimate e abbiamo pensato tutti fosse una gran cosa. Mentre giravamo non ce ne rendevamo veramente conto.

Gli attori scelti per il cast sono del tutto sconosciuti o avete fatto molti casting per ricreare un certo tono?

Gli attori sono innanzitutto di New York e abbiamo fatto parecchi provini, alla fine abbiamo scelto i più originali e stravaganti.

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Si è ritrovata spesso nel personaggio che ha interpretato sullo schermo, avendolo anche scritto personalmente?

Devo dire che scrivere un personaggio e interpretarlo sono due procedimenti completamente distinti e separati; mentre scrivo sono una persona, quando interpreto quello che scrivo seguono una serie di prove per continuare a migliorare il ruolo e ad adattarlo nel corso delle riprese. È come usare due parti diverse del cervello per i due processi: una volta scritto, ho dovuto inventare il personaggio mentre recitavo.

Qualche critico ha definito il suo personaggio come una specie di Peter Pan al femminile, è d’accordo?

Non avevo ancora sentito questa opinione, ma devo dire che le calza a pennello. Frances infatti è ancora legata a quella parte della sua giovinezza che la rende ancora perfettamente indipendente, il fatto di non uscire con i ragazzi e non si lascia coinvolgere troppo rifiutando di investire sull’amore.

L’agettivo che viene spesso scherzosamente attribuito a Frances dal suo coinquilino, “undateable”, è di uso comune negli States?

In realtà lo abbiamo proprio inventato, proprio per rimarcare il tratto anticonvenzionale di Frances.

È stato complicato girare per le strade di New York?

In realtà c’è stata molta collaborazione da parte della città, anche perché non abbiamo voluto assolutamente chiudere strade o bloccare il traffico, e non abbiamo assunto quasi nessuna comparsa, ma usato i veri newyorkesi per omaggiare in maniera completa questa città. Le difficoltà maggiori hanno riguardato la scelta delle inquadrature di Noah.

La situazione del cinema indipendente in Europa è più che mai critica. Qual è la sua opinione anche confrontandolo a quello che succede negli USA?

Negli Stati Uniti i film indipendenti servono a far emergere i talenti, ma sono difficilissimi da realizzare; questo perché è complicto contenere i costi e trovare i finanziatori. Molte sale in America chiudono e sempre meno gente accorre in sale, per questo dobbiamo pensare a nuovi metodi per invertire la tendenza. È una vera e propria sfida e speriamo che la situazione migliori. 

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