“La mafia uccide solo d’estate”, ovvero la formazione di un bambino ai tempi degli orchi e degli eroi
“La mafia uccide solo d’estate” di PIF non è un film di mafia ma un film sugli effetti della mafia nella formazione e nell’educazione dei bambini di ieri che sono gli uomini di oggi
Ci sono applausi che sanno essere sinceri. Come quelli che si sono sentiti durante una normale proiezione del film “La mafia uccide solo d’estate” di e con Pif (Pierfrancesco Diliberto), in un cinema di Palermo, durante un sabato sera piovoso e ventoso. Applausi rivolti al grande schermo al comparire dei titoli di coda.
Non è nostra intenzione in questo post, infatti, recensire la prima opera dell’artista palermitano (perché tale si può definire uno che è regista, attore, conduttore e autore televisivo, scrittore). Ne abbiamo parlato qui. Ma raccontare le emozioni che il film suscita ad un palermitano, soprattutto quello che ha vissuto sulla sua pelle da bambino il periodo più cupo della città della Conca d’Oro, ovvero quello della guerra di mafia degli anni 80 e delle stragi degli anni 90.
Perché Pif da piccolo, interpretato dal bravissimo Alex Bisconti, non è che qualunque palermitano da piccolo a cui la mafia ha influenzato il modo di vedere le cose e di agire. Perché Cosa Nostra non ha solo sconvolto la cronaca, la politica e l’economia di un’intera città; ma anche la cultura e il modus cogitandi dei tantissimi che hanno subìto le azioni mafiose in maniera “scenografica”, leggendo i giornali, guardando i telegiornali, ascoltando le parole dei “grandi”, giocando per strada.
La mafia, infatti, faceva parte della formazione di ogni bambino cresciuto negli anni 80 che, al contrario di quello di oggi, non stava ore e ore davanti al PC o alla TV per giocare alla PlayStation. Ma viveva più a stretto contatto con il territorio.
Perché un bambino non poteva non essere colpito dall’aria spaventata della città e al contempo silenziosa; non poteva non essere incuriosito dal perché papà si fermasse di botto quando passava un’auto della scorta di qualche giudice; o dai militari dei Vespri Siciliani, come se Palermo fosse in guerra (e lo era per davvero); dagli adolescenti che chiamavano e si facevano chiamare “malacarne“, perché si divertivano ad essere delinquenti e gridare “mafia, mafia” per le strade, perché era fico; e dalle foto delle prime pagine del Giornale di Sicilia e de L’Ora, dove si vedevano ogni giorno le foto di morti ammazzati coperti dalle lenzuola sporche di sangue.
Sì, la mafia ha “formato” finanche il carattere dei bambini palermitani. Ma in maniera tale da essere disprezzata e da essere respinta come forza anti-stato perché lo Stato non pensava alla Sicilia. Noi piccoli degli anni 80, infatti, abbiamo avuto la fortuna di crescere dentro l’ombra gigante e protettrice dei tanti martiri laici che sono stati uccisi per estirpare le piante carnivore; e siamo stati quelli che, dopo che furono fatti saltare in aria Falcone e Borsellino, ci siamo tenuti per mano, lungo le strade di Palermo, per dimostrare che il “futuro” si era già unito contro gli orchi che volevano inghiottirlo.
Perché – ed è questa la prima lezione del film di PIF – il male va raccontato per essere riconosciuto e, quindi, allontanato e combattuto. E ciò può avvenire soltanto attraverso il racconto della memoria.
Sì, perché c’è anche una seconda lezione che proviene dalla visione di “La mafia uccide solo d’estate“: i “viddani” corleonesi da soli non avrebbero mai potuto tenere in pugno la Sicilia (e non solo) per tanto e troppo tempo. Basta andare su YouTube e ascoltare le deposizioni dei vari boss e picciotti vari nei processi per renderci conto che non sono affatto un “pozzo di scienza“. Ma braccia armate da altri. Da chi? Dal potere non tanto così occulto dello Stato in combutta con quello mafioso, unendo il centro alla periferia. E la figura di Giulio Andreotti, il mostro che prima sembrava un eroe al piccolo protagonista, ne è una conferma.
Il film di Pif, quindi, non è il solito film di “mafia” che, anzi, fa più danni che altro, perché il romanticismo non dovrebbe mai fare capolinea quando si parla di criminali organizzati che finanche sciolgono bambini nell’acido; ma è un film sugli effetti della mafia nella formazione e nell’educazione dei bambini di ieri che sono gli uomini di oggi, per cui gli eroi non sono Superman o Batman, ma Rocco Chinnici, Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti gli altri.
Palermitani come mamma e papà. Palermitani come i nostri figli.
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