I Forconi, tra moti di rabbia e fine delle brioche
La politica italiana sta vivendo/subendo il momento più impopolare dall’avvento della Repubblica e la protesta sempre più dilagante dei “forconi” sta assumendo i connotati di un “moto“.
È ormai giunto al collasso, infatti, il rapporto tra i rappresentanti (il potere) e i rappresentati (il popolo), perché i primi non appartengono più alla realtà dei secondi. Come se fossimo nell’Antica Grecia e i mortali si fossero ribellati agli dei dell’Olimpo, più inclini all’ozio e al cornificarsi a vicenda che ad occuparsi dei problemi di chi li invoca.
E la conseguenza più immediata e drammatica non può che essere la rottura con un grave pericolo: detestare così tanto il politico in quanto tale che la politica diventa un male assoluto da sconfiggere, facendo di tutta l’erba un fascio.
In pratica, si sta confondendo il particolare con il generale e si chiede a gran voce una Rivoluzione con il problema – non di poco conto – che non c’è né un capopopolo né l’idea del regime da instaurare dopo il “tutti a casa”.
Perché è facile fare la Rivoluzione. Il guaio è, però, che a volte i rivoluzionari vincono e poi bisogna governare. E i forconi – termine dentro al quale si sta tentando di confluire tutti coloro che stanno protestando, senza alcuna distinzione, come un enorme minestrone – non sono un movimento, non sono portatori di un’idea ma un moto spinto dalla rabbia di dovere fare i conti ogni giorno con la sopravvivenza mentre i politici vanno alla prima della Scala, accompagnati da auto di lusso e con indosso abiti e gioielli che valgono quanto il salario di un anno di un operaio. E i moti, come la storia insegna, non arrivano ad una soluzione del problema ma tentano di annientarlo, perché non portano in piazza una proposta ma ira.
Il rischio, quindi, è grave e guai a sottovalutarlo. A considerarlo come qualcosa di estraneo che avviene all’interno dei palazzi, da risolverlo con una brioche da distribuire al popolo per placare la fame per pochi giorni. Perché il moto è emotivo e proviene dal basso. E, fino a prova contraria, è il popolo ad essere sovrano.
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