Indipendentismi: la banda degli onesti e gli onesti nella banda

La crisi dello Stato nazionale, eroso dall’alto e dal basso, rivitalizza sentimenti antichi di indipendenza nazionale che, a ben vedere, non hanno alcuna capacità di sopravvivere in un mondo globalizzato che spinge verso l’integrazione. Alcune differenze tra Sicilia e Veneto, con qualche spazio al sorriso

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Per l’operazione repressiva che ieri ha portato in carcere 24 persone, mentre altre 27 risultano indagate a piede libero, con l’accusa di terrorismo e insurrezione contro lo Stato, paragoni e battute si sono sprecati. Ormai i social media sono fonte di ispirazione: anche del sorriso. Per commentare gli arresti dei pericolosi terroristi venetisti – un neologismo orrendo, ma con qualche riferimento storico, – su Twitter è fioccata la battuta: “Ultimo #Tanko a Venezia”. Sintetico, esaustivo.

In due tempi diversi e successivi – la fine della II e poi della III Guerra Mondiale, quella che è a tutti nota come Guerra Fredda – in Europa si sono prodotte modificazioni genetiche negli organismi statuali di tale incisività da rendere il passo indietro assai difficoltoso, se non impossibile. Ma queste “alterazioni” sono solo l’aspetto visibile di un fenomeno più profondo: la perdita di ruolo dello Stato nazione europeo come lo abbiamo conosciuto – sotto il profilo storico, politico e giuridico – dalla Pace di Westfalia del 1648 all’8 maggio 1945.

La caduta finale dello “Stato” in Europa avvenne nel Secondo Conflitto Mondiale, una guerra anzitutto europea con altre guerre intorno, ma al centro della quale vi era lo scontro tra Francia e Germania per il controllo del Continente, con la Gran Bretagna imperiale osservatore non disinteressato, ma con una prospettiva globale diversa.

L’intervento statunitense – prima dalla Sicilia, poi dalla Normandia – pose fine a queste illusioni e da allora lo Stato nazione ha perso i residui atout di capacità di agire nel mondo a tutela dei propri interessi. I Sei Paesi che diedero avvio al processo di integrazione europea nel 1950 – Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo – erano il nocciolo degli sconfitti anche se vincitori e dei vincitori anche se sconfitti, un paradosso: i tedeschi (e gli italiani) sconfitti diventarono de facto vincitori solo unendo i propri destini ai vincitori “morali” francesi, che avevano resistito con la Francia Libera di de Gaulle all’orrore nazista.

Che c’entra questo con i movimenti indipendentisti del Veneto e della Sicilia (ma anche di Catalogna, Scozia, Normandia, Bretagna, Paesi Baschi, Baviera, etc)? La perdita di sovranità oggettiva e la ripresa dei sentimenti indipendentisti delle micro patrie sono fenomeni complementari, che troverebbero una dialettica comune e consonante solo nel quadro di una federalizzazione dell’Europa, in cui lo Stato nazione fosse l’elemento mediano di una relazione di cittadinanza e di lealtà costituzionale del basso verso l’alto.

Questo non è avvenuto, non sta avvenendo e forse non avverrà nel prossimo futuro. Sicché in ambienti sociali sotto pressione – per la crisi e per opera di uno Stato ladro – come quello italiano – si sceglie la via di fuga dalla realtà con sentimenti indipendentisti e “rivoluzionari” – in senso astronomico – che anela un ritorno al passato più o meno illustre: la Serenissima Repubblica di Venezia, in Veneto; il Regno di Sicilia, nell’isola.

Ci sono però alcune differenze, l’infelicità italiana di cui parla Francesco Merlo su la Repubblica di oggi ha un substrato diverso.

La Serenissima fin dalla fondazione ha coagulato territori, ma è stata indipendente fino alla sua caduta (prima sotto gli Asburgo, poi con l’Annessione al Regno d’Italia promosso da una casata savoiarda…). Il Regno di Sicilia non è mai stato indipendente, nel senso che non è mai stato governato da siciliani autoctoni: sempre stato bottino di guerra, terra di conquista, provincia di imperi. Agli autoctoni solo lo spazio per costruire fortune personali all’ombra del potere, garantita a chi fosse capace di fiutare il vento della Storia e di agganciarsi al carro dei vincitori transeunti.

V’è un paradosso, a nostro avviso: veneti e siciliani non sono italiani, ma iper-italiani, avendo contribuito a inoculare nel sistema nazionale i pregi e i difetti della propria indole nazionale. La proverbiale laboriosità veneta si meraviglia quando incontra altrettanta capacità di lavorare dei siciliani. Il miracolo imprenditoriale del Nord-Est si inchina di fronte alla capacità di “scalare i vetri” (problem solving) dei meridionali, dei siciliani in particolare. E la proverbiale giovialità meridionale di meraviglia della solidarietà di cui sono capaci i “freddi” polentoni, che magari hanno il pregiudizio sbagliato – ma non infondato – verso chi spesso ha usi e costumi (la porgiamo in modo laico) out of order.

Ma in Veneto e in Sicilia gli indipendentismi – al nocciolo – si coniugano in modo diverso.

A Nord, l’esasperazione degli onesti genera la reazione di chi chiude le aziende e le trasferisce in Carinzia, dove “ritrova” quella correttezza amministrativa asburgica che nel Triveneto è rimasta memorizzata nel tessuto genetico delle persone. Ma l’altro fenomeno – di chi non può o non vuole abbandonare la terra – è quello della fuga indipendentista, che è però una risposta alla sperequazione nazionale tra autonomie locali, distinte in ordinarie e speciali.

La banda degli onesti perde le staffe, tra un prosecco e un altro, si organizza, sogna l’indipendensa de a Republica de Venexia. Costruisce un carro armato pronto per la guerra frontale, non per la guerriglia, e con questo mette una pietra tombale su ogni ipotesi di verosimile pericolosità: o si ha un’opinione così deprimente della capacità di azione dell’Esercito Italiano? Armata Brancaleone? Mario Monicelli? Beh, la cultura, anche cinematografica, italiana è ricca di potenziali citazioni.

In Sicilia accade il contrario: si dà la colpa della propria disfatta ad altri, agli “ascari italioti”, alla politica romana, una versione mediterranea di quel claim – “Roma Ladrona” – che ha fatto la fortuna della Lega Nord. Sennonché, scava scava, a Palermo non si tiene conto del fatto che i politici siciliani hanno contribuito in modo (co)determinante allo sfacelo nazionale. Per trovare una personalità politica di spessore, occorre andare indietro nel tempo a Sturzo, Scelba, Aldisio. Poi, la nebbia, con molti momenti di oscurità totale e qualche raggio sfuggente di sole. E con una caratteristica in più, un marker genetico: l‘indipendentismo siciliano è sempre stato legato ad ambienti effervescenti della criminalità organizzata chiamata “mafia”, un dato che prescinde dalla presenza di persone perbene, convinte della bontà delle proprie idee, ma senza condividere niente con la criminalità mafiosa. Sicché in Sicilia si può parlare di onesti nella banda.

Il dato centrale però è che i movimenti indipendentisti, al di là delle specificità locali, manifestano un disagio che sarebbe errato sottovalutare o trattare con le misure di repressione. Serve incanalare questi aneliti per la storia locale nella prospettiva di un nuovo rapporto di lealtà costituzionale europea fondato sul principio di sussidiarietà, tale che ci si senta cittadini – con diritti e doveri – a Palermo, Venezia, Innsbruck, Friburgo, Stoccolma, Berlino, Amsterdam, Varsavia, Brussels, Londra, Dublino o Edimburgo, a prescindere da luogo in cui si è vista la luce per la prima volta o si è cresciuti.

Non daremmo alle future generazioni un futuro sereno se ci rinchiudessimo in un’ottica localistica, che spesso è la scorciatoia usata da certi mestatori di professione per fini non nobili (se non proprio ignobili). Sveglia, ragazzi, il mondo è andato avanti e ha bisogno del contributo di tutti, anche del vostro.

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