Imola, 1994-2014. La mietitura dell’aria. Capitolo 2, Ayrton Senna

Non paga di una vita messa in carniere, forse arrabbiata per Barrichello sfuggito alla trappola, la Nera Signora si appostò sulla griglia di partenza e stese la sua check list: Lamy, Lehto, un po’ di spettatori, qualche meccanico, shackerati e non mescolati. Ma solo uno cadde nel buco nero della domenica. Facci sentire la tua presenza, Ayrton, convinci Michael a tornare quaggiù…

⇒ Leggi pure Imola, 1994-2014. La mietitura dell’aria. Capitolo 1, Roland Ratzenberger

Ayrton da Silva Senna, San Paolo (Brasile), 21 marzo 1960 – Bologna (Italia), 1º maggio 1994)

C’era la mietitura dell’aria a Imola quel 1° Maggio maledetto. Chissà perché a maggio sono accadute molte tragedie nel mondo delle corse. È come se nel mese dedicato alla Madonna il diavolo si divertisse a spargere dolore amplificato, quel dolore che non colpisce solo le persone, le famiglie, gli amici più cari; ma un dolore moltiplicato all’ennesima potenza. In quel 1994 legato a ricordi dolorosi – anche personali, a espansione orizzontale e familiare – il mese iniziò in modo terribile.

La Triste Signora aveva già dato un colpo di falce il giorno prima, portandosi a casa Roland Ratzenberger e con Rubens Barrichello sfuggito per un soffio al trasferimento in Altra Sede. Ayrton Senna – come avesse avuto un presentimento – avrebbe voluto fermarsi un attimo: perché la vita si rispetta soprattutto quando viene scippata per un nonnulla. Sul Santerno s’era abbattuto il dolore, ma qualcuno aveva richiamato all’ordine: il lavoro è lavoro. E il 1° Maggio sembrava un’occasione significativa. Quindi, tutti in riga e in griglia.

Capita che anime più sensibili della media percepiscano prima degli altri lo spirito del momento, il crinale del tempo, il pianoro dell’esistenza. Ma in questi casi il rischio è dietro l’angolo: si rischia, quanto meno, di passare per pazzi o per visionari.

Ciao Alain, mi manchi” detto via radio da Senna nel giro di ricognizione il più fantasioso sceneggiatore non lo avrebbe potuto scrivere. Non però Lo Sceneggiatore, Il Regista. E come un attore rispettoso dei ruoli e della parte assegnata, Ayrton aveva pronunciato quella battuta proveniente dall’anima di chi vuole vivere senza nemici, ma solo con avversari, transitori, come transitoria è questa esistenza. Credere in Dio, nell’Incarnato, non è un’esperienza facile, perché impone di amare i propri nemici, di perdonarli e di combatterli senza odio. Ma è una fandonia il pacifismo cristiano, perché “porgi l’altra guancia” comporta un effetto immediato: se di guance ne esistono solo due, al terzo colpo scatta il dovere della legittima difesa, anche attiva.

Ayrton credeva in Gesù, ci credeva in modo forte, non nascosto, a costo d’esser preso per mistico. In un ambiente dove la bestemmia corre come la benzina, questo era (e forse è ancora) un fenomeno di difficile comprensione. E – come sa ogni cristiano – a Dio vanno tutti i meriti, a sé stessi tutte le responsabilità.

Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, l’Alfa e l’Omega della Formula 1 in quel momento, l’astro e il comprimario, il divo che doveva tutto a Dio, e l’ultimo arrivato, con fatica, con un minimo comun denominatore: la passione per le corse, inutile cercare di spiegarla a chi non ne è affetto.

Lucio Dalla parla di Ayrton Senna e di “Primo e Secondo Tempo della vita”

C’era la mietitura dell’aria a Imola in quel 1° Maggio maledetto. I fendenti della falce erano piovuti a caso, ché la Signora vestita di Nero è egualitaria, non ha preferenze di sorta, svolge la funzione – a volte con sinistra passione – rispondendo al disegno incomprensibile del Grande Progettista, altre volte ai più feroci disegni di criminali terreni.

Nel passaggio sulla Terra, ciascuno di noi lascia una traccia. Quella del Senna pilota la sapete tutti e tanti l’hanno raccontata. A me interessa sottolineare un altro aspetto.

Ayrton percepì la con nitidezza che chi ha più ricchezza, ha anche più responsabilità verso chi non ha. Nessun primato sportivo può valere i suoi sforzi verso i bambini sofferenti di San Paolo del Brasile, uno sforzo prima silenzioso e disorganizzato, random, poi strutturato attraverso la fondazione che porta il suo nome (grazie al testimone ideale raccolto dalla famiglia, per forte volontà della sorella Viviane, esecutrice “testamentaria” morale) . Questa è l’eredità maggiore, la più importante, lasciataci da Ayrton Da Silva Senna.

La sensibilità verso le sofferenze dei bambini ha reso ideali compagni di team Senna e Schumacher, pochi giorni fa tributato con la cittadinanza onoraria di Sarajevo, per il supporto materiale fornito a favore dei bambini bosniaci vittime della ferocia della guerra intra-jugoslava.

Ayrton e Michael – che pure si scontrarono in pista con durezza – sono stati tanto alfieri silenziosi della bontà umana, della generosità nascosta, quanto feroci combattenti furono in pista contro gli avversari. Uomini di valore, ma non perfetti, ché la perfezione non è di questo mondo. E nell’ammettere l’imperfezione c’è la sublimazione dell’umanità più vera. Uomini veri, piloti che hanno scritto la storia della Formula 1, ma anche reso possibile un futuro per molti infelici. Quale coppa, quale trofeo può riconoscere a queste figure il giusto tributo?

C’era la mietitura dell’aria a Imola in quel 1° Maggio maledetto, ma lo spirito rimane quando la materia evapora. E se c’è un modo con cui Ayrton Da Silva Senna può farci sentire la sua presenza, dal patio della sua Infinita Dimora, è di convincere Michael Schumacher a tornare quaggiù, sulla Terra, a costo di prenderlo a calci nel culo per spingerlo.

La falce mietitrice aveva in mente di strappare molti germogli quel giorno sulla riva del Santerno, ma Ayrton fu vittima sacrificale, la più nota. E in quella bandiera austriaca portata addosso – per tributare al “collega” Ratzenberger l’eventuale vittoria a Imola – c’è tutta la vera natura di uomo perbene, più grande del pilota.

Ciao Ayrton, grazie davvero, e salutaci tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.