Inferno in Iraq, l’Ayatollah al-Sistani mobilita iracheni contro l’ISIL. Onu: esecuzioni sommarie di civili e militari

Secondo le Nazioni Unite, “centinaia di persone uccise e un migliaio di feriti”. Esecuzioni sommarie a Mosul. Iran pronta ad agire, Obama prende tempo. Europa? Dorme e fa finta d’esser desta…

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Roma – Prosegue l’avanzata qaedista verso Baghdad. Nella notte i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) hanno conquistato due città della provincia di Diyala, Sadiyah e Djalaoula, nell’Iraq orientale, e alcuni villaggi sui monti Himrine.

L’offensiva dei miliziani jihadisti sunniti è accompagnata da esecuzioni sommarie di militari e civili e da orribili violenze, analoghe a quelle commesse dalla SS naziste nel corso della II Guerra Mondiale. La Commissione dell’Onu per i diritti umani, da Ginevra, ha riferito che tra gli episodi denunciati c’è l’uccisione in una strada di Mosul di 17 civili che lavoravano per la polizia.

Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha parlato di “centinaia di persone uccise e un migliaio di feriti“, anche se manca un bilancio preciso. Da parte sua, l’Iran ha ribadito l’impegno a combattere il “terrorismo sunnita” e a non permettere a Paesi stranieri di “esportare il terrore” in Iraq. Lo ha assicurato il presidente iraniano Hassan Rohani in una conversazione telefonica con il premier iracheno, Nouri al-Maliki.

Tutto il mondo sciita iracheno si sta mobilitando per fermare un’offensiva che rischia di portare a una nuova oppressione dalla minoranza sunnita, guidata dai fanatici dell’ISIL. Una delle maggiori figure del clero sciita, l’Ayatollah Ali al-Sistani, ha chiesto alla popolazione di prendere le armi in difesa del Paese, del popolo e dei luoghi sacri. Il rappresentante della suprema autorità religiosa, lo sceicco Abdul Mahdi al Karbalai, durante la preghiera del venerdì (giornata santa nell’Islam) ha detto che l’Iraq sta attraversando una situazione gravissima e che il popolo iracheno sta affrontando una grande sfida e un grande pericolo.

Intanto continuano gli scontri fra l’esercito e i militanti jihadisti vicino alla città di Baquba, a soli 60 km da Baghdad. Centinaia di americani che lavorano nel centro-nord dell’Iraq sono stati trasferiti a Baghdad a causa dell’avanzata dei miliziani qaedisti. Lo ha reso noto il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jan Psaki. Il provvedimento riguarda in particolare i contrattisti e i dipendenti di compagnie Usa che operano nella base aerea di Balad, 80 chilometri a nord della capitale, che ufficialmente non manifesta alcun cambiamento di status, così come il personale diplomatico e consolare statunitense presente nel Paese.

Obama tentenna a predisporre l’unico strumento che attualmente sembra in grado di fermare l’avanzata qaedista, nelle cui fila sono confluiti molti ufficiali e funzionari già appartenenti al regime dittatoriale di Saddam Hussein. L’attuale immobilità di Washington – malgrado il giudizio sull’evoluzione della situazione sia considerata una “minaccia alla stabilità sia dell’area che internazionale” – fa emergere tutti gli errori di un intervento che non ha proceduto anzitutto alla reale de-saddammizzazione del Paese, con un processo analogo a quello condotto in Germania, Giappone e Italia (seppure in maniera molto più ridotta per le peculiarità del nostro Paese) alla fine della II GM.

Questo scenario adesso pericoloso può però trasformarsi in breve in un incubo per tutto l’Occidente e il Medio Oriente. Nei forzieri della Banca Centrale dell’Iraq sono custoditi 400 milioni di dollari statunitensi, una cifra che potrebbe essere immediatamente messa a profitto dall’ISIL, qualora se ne appropriasse.

Ma l’espugnazione di Bagdad da parte dei jihadisti qaedisti renderebbe possibile l’appropriazione di uno Stato sovrano, membro della comunità internazionale, un processo già visto in Afghanistan con i talebani.

John Kerry, segretario di Stato americano, ha affermato poco fa che “l’ISIL è un’organizzazione terroristica, una minaccia non solo per l’Iraq, ma anche per Stati Uniti, Europa e lo stesso Iran. La presa di Mosul dovrebbe essere un campanello d’allarme per tutti i leader iracheni – ha ammonito il capo della diplomazia americana a Londra, a margine del vertice mondiale per porre fine alle violenze sessuali in guerra – ricordando che “le divisioni politiche, alimentate dalle differenze etniche o settarie, non possono essere permesse“. Un modo per affermare che oltre agli errori americani, gravi errori sono stati compiuti dall’attuale establishment al governo dell’Iraq. 

Il riferimento è alle accuse mosse contro il primo ministro iracheno, Nuri al-Maliki, accusato di aver deliberatamente estromesso i sunniti dalla vita politica del Paese, provocando una deriva estremistica della lotta politica nel Paese, favorendo così la montante influenza dell’ISIL nelle frange sunnite della popolazione.

In questo panorama esplosivo, spicca il silenzio operativo dell’Europa, costretta a complessi vertici diplomatici e impossibilitata ad agire in prima persona, per assenza di legittimità politica verso il popolo sovrano e nella Comunità internazionale. L’Unione Europea non è uno Stato federale e questo vulnus di legittimità e capacità è estremamente pericoloso per la libertà di tutti i cittadini. Ma nella corrente classe dirigente europea non si guardano i fatti con gli occhi della realtà e della verità, si semplificano a favore di elettori spesso spossati da politiche sbagliate di austerità e, per questo, predisposte male verso l’europeizzazione dell’Europa.

L’unica evoluzione che può dare spessore, legittimità, coerenza e futuro agli abitanti di quest’unione ibrida di 28 Stati, inifluenti nell’attuale panorama geopolitico in cui gli unici attori significativi sembrano essere i gruppi transnazionali del terrore che attraversano i confini con bandiere di terrore ammantate da false idee religiose.

(Fonte: agenzie) © RIPRODUZIONE RISERVATA