Gela, in fiamme officina meccanica. Si attende la risposta delle istituzioni locali: una bella “notte bianca”?

La città del Golfo vive una perenne crisi di nervi, tra aggressioni della criminalità e risposte inadeguate degli amministratori locali, spesso incapaci di predisporre le più idonee risposte per la città più assolata d’Europa

L'officina dei fratelli Amarù, prima che venisse distrutta dalla fiamme (immagini da Google Street View)
L’officina dei fratelli Amarù, prima che venisse distrutta dalla fiamme (immagini da Google Street View)

Gela – L’ultimo bersaglio dell’aggressione criminale cui soggiace Gela è stata, la scorsa notte, un’officina meccanica molto nota in città, quella dei fratelli Massimo e Claudio Amarù, posta nella centrale via Venezia. In realtà la via Venezia è la SS 115 Trapani-Siracusa, che attraversa la città del Golfo da una parte all’altra, tagliando l’agglomerato urbano in due. 

L’officina Amarù è in una zona di passaggio, vicina ad altri esercizi commerciali, tra cui anche un bar/pasticceria meta notturna dei tiratardi in cerca di un caffè o un cornetto appena sfornato (ottima la produzione). Naturalmente nessuno ha visto e sentito niente la scorsa notte, quando ignoti “piromani” hanno appiccato il fuoco all’attività artigianale, con le fiamme diffusesi immediatamente all’interno, danneggiando le auto custodite (tra cui sembra due dei proprietari e una di un cliente), poi propagatesi al prospetto dello stabile, dove abitano i proprietari dell’attività, domate infine dai Vigili del Fuoco del locale distaccamento.

Sull’incendio – che è di chiara origine dolosa – indagano i Carabinieri, che propendono per la pista estorsiva malgrado i fratelli Amarù neghino di aver subito minacce o richieste di denaro. Circostanza che non meraviglierebbe, perché la criminalità locale – organizzata e fai-da-te – usa presentarsi con un atto dirompente per poi piegare meglio l’obiettivo delle richieste criminali.

Ma la motivazione potrebbe anche essere altra, in una città in cui è difficile vivere e peggio convivere con una maleducazione dilagante, dove sono saltati tutti i parametri della convivenza e dove non si può rimproverare un maleducato senza correre il rischio di vedere in fumo la propria autovettura o la propria attività. Provate a fare un preventivo di assicurazione, leggerete numeri da fuoriserie per una utilitaria: roba da fare accapponare la pelle.

Naturalmente, come atto di una liturgia ormai scritta nel Libro della Prassi, sono arrivate puntuali le parole di solidarietà del presidente della locale associazione antiracket, Renzo Caponetti. E la solidarietà – si sa – è come lo zucchero che non guasta bevanda, soprattutto in certi momenti, quindi ben venga anche se abbastanza inefficace.

L’amaro calice che i gelesi – tutti, dal più perbene (e sono molti, forse maggioranza) al più delinquente – dovranno bere presto è la morte economica della città, da cui anche l’Eni sembra aver programmato una precipitosa fuga, anche grazie all’avallo delle forze politiche (e sindacali) locali, consistenti come la tela di un ragno con cui avviluppano – spesso con brutale incompetenza – la comunità. 

Si pensi semplicemente all’ultima “Notte Rosa”, indetta per affrontare il vergognoso tema della violenza sulle donne, esauritasi in una notte di bagordi commerciali e alimentari, senza però che sia stato affrontato il tema di fondo neanche nell’angolo più nascosto di un bar. “Passerella pre-elettorale”, è stata etichettata la manifestazione costata denaro pubblico, speso con fatale inconsistenza. 

Sicché, di fronte all’imperversare dell’aggressione criminale, la cittadinanza è in trepidante attesa per la risposta che la giunta municipale saprà dare a questi barbari incendiari, che contribuiscono alla fuga da una città invivibile: è un arrivo una nuova “notte bianca“? La criminalità trema…

Gela avrebbe nella natura la risposta a molti dei propri problemi, perché è la città più assolata d’Europa, statisticamente parlando, e si trova a sud di Tunisi, circostanza che ne rende mite il clima. Lo sviluppo del turismo sarebbe l’asse su cui costruire – senza peraltro molta fantasia –  il futuro di una città e di un comprensorio, che invece sembra scivolare in un inferno mortale. Il  turismo comporterebbe però scelte coraggiose, a partire da una presa di coscienza generale: l’antidoto alla morte economica della città è il ripopolamento del tessuto urbano, passato in pochi anni da quasi 100mila abitanti agli attuali 67mila residenti (alcuni solo sulla carta). 

Questo significa che Gela può rinascere solo con un processo inverso, rendendo attrattiva la città per chi sta altrove. Non saranno sufficienti le “notti bianche”, né certi sedicenti amministratori pubblici per conseguire questo obiettivo salvifico, ma anzitutto una presa di coscienza di tutto il tessuto cittadino, mentre finora una parte tace o si gira dall’altra parte, magari confinandosi in finte enclaves di civiltà.

Finte perché – paradosso apparente – nei giorni in cui non si riesce a convincere i gelesi a collaborare per la raccolta differenziata, i quartieri più popolari (San Giacomo e Settefarine)  rispondono in modalità “Bolzano”, mentre gli abitanti dei cosiddetti “quartieri bene” – Caposoprano in primis – attuano la differenziata come la peggiore favela brasiliana.

Significativo…per una città senza classe dirigente all’altezza del ruolo…

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