Iraq, drammatico appello di una giornalista: “Aiutatemi, rischio la vita”. Il vescovo di Baghdad: “Fate qualcosa”

In una lettera inviata da Baghdad all’agenzia Aki-Adnkronos, del Gruppo Giuseppe Marra Communications, le drammatiche parole della collega irachena: “Ho difficoltà a vivere in questo Paese a causa delle minacce di morte che stiamo subendo io e la mia famiglia per motivi religiosi e settari”. Il prelato cattolico: “Bisogna liberare l’Iraq da questa gente che non parla di diritti, che vuole solo una dittatura maligna” 

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Roma – “Vivo in Iraq da quando sono nata, ma ora ho difficoltà a vivere in questo Paese a causa delle minacce di morte che stiamo subendo io e la mia famiglia per motivi religiosi e settari“. Questa la drammatica denuncia di una giornalista irachena residente a Baghdad – Z.N. le sue iniziali, visto che non vuole rendere pubbliche le sue generalità per timore di ritorsioni – che ha partecipato con altri connazionali a un corso di formazione a Roma promosso dal ministero degli Affari Esteri e organizzato dal gruppo Adnkronos.

Ora, dopo la fine del corso, la giornalista irachena ha scritto all’Adnkronos nel tentativo di trovare una via d’uscita a una situazione che mette a rischio la propria vita e quella dei suoi cari. A Baghdad, spiega Z.N., il conflitto tra sunniti e sciiti ha reso il clima “sempre più pericoloso. “Una settimana fa – racconta – mio marito ha ricevuto una telefonata: o prendi i tuoi figli e te ne vai, ma senza tua moglie, o morirai“, ha rivelato la giornalista nella lettera ad Aki-Adnkronos International. “La ragione di questa minaccia – spiega – è che io sono sciita e lui sunnita, anche se tutti e due abbiamo idee liberali e siamo contrari alle divisioni settarie“.

La giornalista racconta che lei e suo marito si sentono in trappola: “non possiamo sporgere denuncia alla polizia locale poiché i membri stessi della polizia nelle aree sciite fanno parte della cosiddetta ‘Asaib Ahl al-Haq’, ovvero la ‘Lega dei Giusti’, che è una milizia sciita paramilitare accusata di compiere attacchi indiscriminati contro i sunniti soprattutto nei pressi di Baghdad sia in quartieri a maggioranza sciita che con popolazione mista“.

Secondo un rapporto di Amnesty International diffuso ieri, le violenze delle milizie paramilitari sciite sono aumentate dopo che estremisti sunniti dello Islamico (Isil) hanno conquistato una buona parte dell’ovest del Iraq.

Per allontanarci da questi problemi io, mio marito e i nostri due bambini, un maschietto di 4 anni ed una bimba di solo 2, abbiamo iniziato a spostarci da una zona all’altra nel tentativo di lasciarci alle spalle questo settarismo“, spiega la giornalista nella missiva, aggiungendo che “dovunque andiamo, gli stessi problemi si ripresentano come se ci dessero la caccia“.

Nella lettera appello all’Aki, la giornalista rivela che la sua situazione non è isolata e che a Baghdad sono da tempo in corso aggressioni e omicidi per motivi settari. “Ieri l’altro – Z.N. racconta – la polizia ha trovato i cadaveri di due donne sciite a Sadr City, una zona molto vicina alla nostra, a maggioranza sciita. Sono state uccise poiché erano sposate con dei sunniti. In un’area centrale di Baghdad, Bab al-Sharqi, tre giovani che vivevano in un quartiere a maggioranza sunnita sono stati rapiti e uccisi. I loro cadaveri sono stati trovati in una zona sciita e sui loro corpi era stato lasciato un biglietto con scritto ‘sunniti’“.

Secondo la giornalista “non c’è un luogo sicuro dove possiamo andare“, precisando che “non voglio che i miei figli o mio marito vengano rapiti, o trovare i loro corpi senza vita in mezzo alla strada. E non posso nemmeno uscire dall’Iraq illegalmente e la ragione principale è la sicurezza dei miei figli. Oggi io e mio marito non sappiamo come affrontare questo problema“.

Ho pensato a un modo di salvare la mia famiglia – conclude il drammatico appello – e la mia unica soluzione è l’Italia, dove ho vissuto tra il 2007 e il 2008 e dove ho fatto un training per l’Adnkronos International. Lì ho potuto conoscere persone profondamente umane e con una grande coscienza, che mi hanno fatto sentire come in famiglia, e questo è ciò di cui la mia famiglia ha bisogno“.

Il vescovo di Baghdad – “Fate qualcosa per liberare l’Iraq da questa gente che non parla di diritti, che vuole solo una dittatura maligna” sono le parole del vescovo di Baghdad, Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei e presidente della Caritas irachena, che è intervenuto sulla vicenda di Z.N. e che ha lanciato un “appello a tutto il mondo, a tutti gli uomini di buona volontà, all’Europa intera, all’America e a tutte le società umane“.

Ci sono cose che non fanno neanche gli animali – ha affermato Warduni in un colloquio telefonico con Aki – Gridiamo con le nostre donne, i nostri bambini, i nostri vecchi, i nostri malati: aiutateci a liberarci da questa gente che non conosce la storia, che ha distrutto chiese e moschee, che non ha né misericordia né coscienza né religione. Chiediamo a tutti: liberateci, aiutateci perché ogni essere umano veda rispettati i diritti umani“.

Questa gente è contro tutti, soprattutto contro le donne“, prosegue monsignor Warduni, che parla di “cose terribili che non siamo proprio abituati a sentire“. “Quando gli Usa e l’Europa sono venuti a occupare l’Iraq – aggiunge – i cristiani sempre hanno difeso il Paese, anche con il sangue dei loro soldati, dei loro figli e adesso arriva questa gente, non sappiamo da dove, con questo rancore, con questo spirito maligno che vuole far diventare tutti come desidera anche se questo è contro Dio, contro la morale, contro le donne, contro i diritti umani“.

Monsignor Warduni ha ricordato come la “situazione dei cristiani in tutto l’Iraq sia la situazione di tutti gli iracheni: una situazione non positiva a causa della mancanza di un governo vero, dell’unità, della riconciliazione tra i diversi gruppi“. Il prelato ha sottolineato come “la condizione peggiore in assoluto sia quella dei cristiani che vivevano da centinaia di anni a Mosul” e che sono “stati cacciati senza dignità” in un modo “terribile“, ha descritto le tappe della fuga dei cristiani da Mosul, sperando che “l’Onu, l’Unione Europea facciano qualcosa” perché “non basta dare denaro per mangiare per qualche giorno, né basta promettere di riceverli come emigrati, ma bisogna risolvere il problema, permettere che ritornino nelle loro case e riprendano a lavorare come prima per poter andare avanti con la vita“.

(Adnkronos)