Allarme Ebola, il medico che lavora in Africa: “Epidemia dilaga, fermarla subito”

Odong Emintone Ayella ad Adnkronos Salute: “Assistiamo i pazienti con la costante paura di ammalarci

20140802-odong_emintone-adn-320x226Roma – “Esiste il rischio che il virus Ebola si diffonda in altri Paesi e dilaghi rapidamente. Per ridurlo è necessario contenere rapidamente l’epidemia in Africa occidentale, supportando i governi, mettendo insieme le risorse necessarie e avviando programmi di screening in modo che i pazienti possono essere identificati e isolati prima possibile, per evitare ulteriori contagi anche localmente, dove la situazione rischia di diventare fuori controllo“. Ad affermarlo all’Adnkronos Salute è Odong Emintone Ayella, direttore sanitario del St. Mary’s Lacor di Gulu, in Uganda.

I mezzi di trasporto hanno accorciato le distanze, favorendo la globalizzazione della malattia: “Un volo dall’Africa può durare otto ore, un malato di Ebola o malattie infettive simili – avverte – può salire sano su un aereo e sviluppare i sintomi dopo poche ore o pochi giorni”. In Africa questo è ancor più vero, “con i trasferimenti, molto frequenti e spesso senza controlli, tra una frontiera e l’altra”.

L’ospedale non profit di Gulu, tra più all’avanguardia dell’Africa dell’Est, ha affrontato nel 2000 la maggiore epidemia di Ebola che il Paese abbia mai avuto. “Non sapevamo ancora – racconta il medico, in visita in Italia ancora per qualche giorno prima di rientrare in Africa – come agire tempestivamente e non avevamo un efficiente sistema di sorveglianza locale. Ma da allora abbiamo imparato molto e ora siamo in grado di fare diagnosi rapide e isolare subito il virus: nell’ultimo caso solo una ragazza è stata contagiata”.

Così non è nei Paesi dell’Africa occidentale alle prese con la peggior epidemia di Ebola in 40 anni. “Ogni Paese – sottolinea Odong – dovrebbe avere un alto livello di sorveglianza nella comunità in modo da segnalare ogni singolo contagio sospetto. Devono esserci persone incaricate di sorvegliare, osservare e comunicare i casi”. “Molte persone – prosegue – si accorgono di non star bene, ma non lo denunciano per paura di essere isolate, morire sole ed essere seppellite senza la famiglia vicino. Oppure pensano di avere il ‘malocchio’: le persone devono sapere, invece, che la causa della malattia non è la magia, ma un virus ben noto. Devono capire l’importanza di collaborare con i medici e gli operatori sanitari, non scappare. Coinvolgere nella sensibilizzazione della comunità i guaritori, a cui la gente si rivolge se non sta bene, potrebbe essere utile per contrastare la diffusione di Ebola”.

Per il medico, “è possibile che in Africa occidentale i primi casi di Ebola siano stati diagnosticati tardi e il virus si è poi diffuso facilmente nelle comunità locali anche a causa della mancanza di sistemi di sorveglianza. Ma ci sono anche altre malattie che si manifestano con la febbre, come malaria, meningite, febbre tifoide e infezioni virali e questo rende difficile attribuire al virus Ebola i primi sintomi, in assenza di evidente emorragia. Non solo. Spesso non è facile nemmeno fare gli esami per arrivare alla diagnosi e possono volerci settimane per la conferma”.

La priorità, dunque, è “riconoscere la malattia quando è ancora asintomatica, identificare un caso quando sta appena iniziando a rivelarsi, che è una bella sfida per i Paesi ora colpiti, dove i mezzi sono spesso pochi e le necessità sconosciute”.

Ho assistito un malato di Ebola che poi è morto dopo dieci giorni. Mi sono sentito sconfitto e spaventato, molto spaventato”, racconta Odong, direttore sanitario del St. Mary’s Lacor di Gulu, in Uganda, ospedale non profit alle prese con la maggiore epidemia di Ebola che il Paese abbia mai avuto, nel 2000. “Ricordo come fosse ieri – afferma il medico, in visita in Italia – la situazione d’emergenza e quanto sia stata difficile, soprattutto visto che abbiamo perso per il virus 12 operatori sanitari, colleghi che erano stati contagiati mentre cercavano di salvare la vita dei loro pazienti. Adesso sta accadendo lo stesso, tanti medici, operatori e volontari vittime della malattia nei Paesi colpiti da questa nuova epidemia di Ebola”, prevalentemente Liberia, Sierra Leone e Guinea.

Lavori con la costante paura per la tua vita e quella dei tuoi colleghi – prosegue – ma sai che devi continuare a farlo per contenere la diffusione dell’epidemia, anche se stai rischiando di ammalarti a tua volta”.

“Ebola non è mai stata fra le priorità – ricorda il medico – rispetto ad altre malattie che uccidono, ogni anno, centinaia di migliaia di persone. Per questo non ci sono trattamenti efficaci né un vaccino. L’isolamento dei casi confermati e anche di quelli sospetti è importante per prevenire la diffusione, e poi non c’è altro da fare se non reidratare il paziente, alleviare il dolore, curare la febbre e fargli delle trasfusioni, aspettando che si riprenda o che muoia”.

(Adnkronos)