Arcivescovo Mosul: decapitazioni jihadiste, barbarie e segno di paura per sconfitte militari. Onu: “oltraggiati”

Commentando l’uccisione del giornalista Usa Sotloff, monsignor Nona ha affermato che “non è un fatto eccezionale” per persone che non conoscono “il valore della vita umana”. Non si tratta “di un atto di guerra, ma di gesto brutale”. Fra le minoranze perseguitate tentativi di collaborazione, ma la dispersione geografica resta un ostacolo. Per gli sfollati c’è il problema degli alloggi

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Baghdad – “Uccidere una persona in modo così brutale non è umano, nel XXI Secolo non è possibile assistere ancora a questo tipo di uccisioni così tristi e barbare”. Così si è espresso monsignor Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell’Iraq, commentando l’esecuzione del giornalista americano Steven Sotloff con AsiaNews, l’agenzia di stampa del Pontificio Istituto Missioni Estere. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno confermato che il filmato diffuso ieri dai jihadisti (intitolato “Un secondo messaggio all’America), con le immagini della decapitazione del reporter, sono “autentiche”.

“Non siamo di fronte ad atti eccezionali”, il prelato ha commentato questa brutalità, perché per le milizie dello 20140904-EmilShimounNona-Mosul-330x215Stato Islamico questa modalità di operare “è una cosa normale”: basti ricordare “quello che hanno fatto ai nostri cristiani (iracheni, ndr) e alle altre minoranze. Non pensano alle altre persone, non hanno in nessun conto il valore della vita umana”.

Steve Sotloff, 31 anni, era un giornalista freelance e aveva lavorato per TimeForeign Policy,World Affairs Journal e Christian Science Monitor. È il secondo giornalista statunitense ucciso in modo così brutale e inumano dalle milizie islamiste, dopo la morte del collega James Foley. Il Wall Street Journal, citando fonti dell’amministrazione statunitense coperte da anonimato, aveva sostenuto ieri che Sotloff fosse stato assassinato il 19 agosto scorso, proprio insieme a Foley (così come David Cawthorne Haines, l’ex militare britannico in servizio presso una Ong con compiti di sicurezza, il prossimo decapitato annunciato). La barba incolta e i capelli allungati invece sembrano smentire questa tesi, almeno per ora. 

Va dato atto che monignor è stato il primo a lanciare l’allarme sul pericolo dell’avanzata dei jihadisti dell’ISIL dopo la conquista di Mosul, dove circa 500mila persone – cristiani e musulmani – sono fuggite a inizio giugno e dove è stato fondato il cosiddetto califfato e imposto la sharia, la legge islamica. Per il vescovo il gesto della decapitazione di Sotloff “non è un atto di guerra”, ma una “uccisione barbara” contro persone innocenti, che hanno la sola colpa di “appartenere ad altre religioni, o pensare in modo diverso”. Un concetto che Nona ha voluto sottolineare a più riprese, durante il colloquio con AsiaNews: “non si tratta di un atto di guerra, ma di un gesto barbaro e brutale”.

Il vescovo di Mosul ha anche dato una personale, interessante, chiave di lettura delle decapitazioni e della loro diffusione mediatica in rete. Secondo Nona sono un “indice della modalità di agire” dei jihadisti, ma allo stesso tempo costituiscono un segnale della “paura” e della “debolezza” di fronte agli attacchi aerei e ai bombardamenti statunitensi, che ne hanno bloccato l’avanzata.

“Questi gesti brutali – ha spiegato – non sono minacce, ma il modus operandi sul campo: quando controllano un pezzo di terra, o le persone sottomesse diventano come loro, la pensano come loro, professano la stessa fede e ne abbracciano la visione estrema, oppure li uccidono o li cacciano via”. Una brutalità che si esprime non solo nell’uccisione dei prigionieri occidentali, ma anche nelle molte uccisioni di cristiani e di altri membri di minoranze religiose irachene. “Massacrano tantissime persone – ha aggiunto il prelato caldeo – ma nessuno ne parla. Questi filmati sono anche un mezzo di propaganda, in un’ottica di scontro con l’America“.

A questa logica di violenza e di terrore, propugnata dai jihadisti, la popolazione civile irachena, i vertici della Chiesa cattolica, e i leader delle minoranze cercano di opporre collaborazione, aiuto reciproco, tentativi di ricostruzione all’insegna dell’armonia e dell’unità.

“Fra i profughi, i membri delle minoranze – ha raccontato ad AsiaNews monsignor Nona – ci sono buoni rapporti, anche se è difficile incontrarsi ed elaborare progetti comuni. Cristiani, turcomanni, yazidi sono dispersi in un’area geograficamente estesa ed è difficile mantenere rapporti. Tuttavia, per quanto possibile, si cerca di collaborare”. Sulle condizioni di vita dei rifugiati, il prelato ha spiegato che “cibo e acqua ora non mancano”, ma il problema è “quello degli alloggi: molta gente vive per strada, dorme nelle aiuole, oppure nelle scuole pubbliche. Ma fra pochi giorni dovranno abbandonarle e non sappiamo dove metterle… questo è un grosso problema, mancano case”.

L’arcivescovo ha poi invita a combattere gli islamisti “non solo con le armi“, ma lavorando nel profondo sulla società e con i giovani. “Bisogna capire perché la gente, soprattutto i giovani sono attirati da questa ideologia, e lavorare ad una vera ricostruzione del Paese”, ha concluso Nona. Un impegno che deve riguardare non solo la capitale Baghdad, ma anche le periferie di tutto l’Iraq, la cui unità statale – ancorché articolata in modi nuovi – è un valore che dovrebbe essere salvaguardato.

Anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha commentato la barbara uccisione di Softloff. “Siamo tutti oltraggiati per le notizie dall’Iraq sulle brutali uccisioni di civili da parte dell’Isis, compresa quella giunta ieri sulla brutale decapitazione di un altro giornalista”, ha commentato.

(AsiaNews)