Come in un’opera d’arte. Gli anni folli della marchesa Casati

A Venezia una mostra per raccontare la vita di Luisa Casati Stampa, un’icona degli inizi del Novecento

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Venezia – “L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita”. Sono le parole con cui Shakespeare descrive Cleopatra e che la nipote scelse per l’epitaffio di Luisa Casati Stampa, la “Divina Marchesa” – come volle definirla Gabriele D’Annunzio – a cui Venezia dedica una retrospettiva dal 4 ottobre all’8 marzo 2015 a Palazzo Fortuny, luogo da lei amato.

Ideata da Daniela Ferretti, curata da Fabio Benzi e Gioia Mori, coprodotta dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, la mostra intende ripercorrere il mito di una delle donne più eccentriche e iconiche della Belle Epoque attraverso un centinaio di opere tra cui dipinti, sculture, gioielli, fotografie, abiti – in prestito da collezioni private e museali – in grado di rievocare il periodo storico e le relazioni sociali e personali della nobildonna.

Personaggio lungamente dibattuto, a cui oggi si ispirano firme dell’alta moda e che fu musa e mecenate di artisti come Boldini, Man Ray, Marinetti, Troubetzkoy, Balla, Bakst, Romain, Depero, Brooks, Luisa nasce, alla fine dell’Ottocento, a Milano, da una famiglia di ricchi industriali cotonieri di origini austriache, la cui scomparsa improvvisa la rese una delle ereditiere più in vista d’Italia. Dopo il matrimonio con il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino – da cui ebbe la figlia Cristina e una separazione – scelse di vivere liberamente la propria vita imboccando una strada di eccessi, spettacolarizzazione, lusso, soirées tra Venezia, Capri, Parigi, Milano.

Spinta dalla voglia irrefrenabile di divenire un’opera d’arte – in un miscuglio di dandismo e presagi della body art – è a lei e alla loro voluttuosa relazione che Gabriele D’Annunzio dedicò il romanzo “Forse che sì forse che no” in cui la figura di Isabella Inghirami non è altro che Luisa, privatamente chiamata dal Vate Korè. È proprio a partire da questo rapporto che la giovane iniziò la sua metamorfosi. Con il viso impallidito dalla cipria, il magro corpo androgino, gli occhi bui per le strisce di velluto intorno alle palpebre, le labbra scarlatte e i rossi capelli da Medusa, la marchesa soleva apparire nel suo settecentesco Palazzo Venier – attuale sede del Guggenheim Museum – o nella panoramica dimora con vista sulle scogliere di Anacapri con abiti orientaleggianti disegnati da Mariano Fortuny, con in mano dei gigli cimiteriali o ancora con al guinzaglio i suoi amati levrieri – come nel ritratto del fauve van Dongen. Non era strano vederla passeggiare con al seguito un boa intorno al collo, un ghepardo dal collare di turchesi, un enorme servitore nero insieme a alcuni accompagnatori con la pelle ricoperta di polvere d’oro.

Donna sopra le righe, Luisa incarnò a lungo l’immagine della femme fatale trasgressiva e inafferrabile, alla ricerca dello stupore e di quella immortalità che solo l’arte può dare; ecco che cercò di avvicinare la propria esistenza alla pura bellezza, ad un’estetica infinita capace di renderla eterna come una divinità pagana da cui amava travestirsi per affascinare il pubblico internazionale.

Ma, come nel finale di uno straordinario copione, le scene conclusive della sua vita saranno girate nelle misere stanze di un’abitazione londinese nella quale andò a rifugiarsi dopo il tracollo economico causato da un debito di 25 milioni di dollari, frutto di quel lusso sfrenato in cui aveva deciso di annegare. Nonostante la vendita all’asta di alcuni beni – a cui partecipò anche Coco Chanel – Korè scelse di trascorrere gli ultimi giorni con la figlia Cristina, andata in sposa a un aristocratico britannico, e con la quale ebbe sempre un rapporto burrascoso.

Lontana dalle luci dell’alta società e chiusa in un silenzio di dignità, la marchesa morì a Londra nel 1957 e fu sepolta nel cimitero di Brompton con il suo mantello nero di leopardo, le ciglia finte e, ai piedi, il suo amato pechinese imbalsamato. Consegnata all’oltretomba adornata come una regina, nell’ultimo atto della sua esistenza, appare una maschera immobile, inanimata, in una posa volutamente estetica ma, al tempo stesso, decadente e sbiadita come la bellezza effimera di una natura morta.

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Palazzo Fortuny San Marco 3958, Venezia – http://www.mostracasati.it/ – Orari 10.00 – 18.00 | chiuso il martedì | Biglietti: Intero: €12,00 – Ridotto €10,00 – Ridotto Gruppi: €10,00 – Ridotto speciale €6,00 – Ridotto scuole €5,00 | Infoline: 041 0988107 (servizio è attivo da lunedì a venerdì ore 10:00 – 17:00)