Orvieto, scoperta una testa di terracotta attribuita a un dio del pantheon etrusco

Il rinvenimento eccezionale si inserisce nel quadro di una campagna di scavo condotta dall’Università di Perugia, sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

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Orvieto – Sembrerebbe la testa di Voltumna, dio supremo del pantheon etrusco, l’eccezionale rinvenimento archeologico che è apparso di fronte agli occhi degli archeologi dell’Università di Perugia che, attraverso il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, scavano nell’area di Campo di Fiera. 

La splendida testa maschile di terracotta – originariamente policroma – è stata scoperta nell’area sacra del Fanum Voltumnae, risalente al VI sec. a.C., insieme a un tempio di grandi dimensioni – 12 metri per 18 – e alla strada sacra. Come dichiarato, oggi, dall’archeologa Simonetta Stopponi – direttrice degli scavi – « La testa è molto bella e ben conservata. Finora sono state rintracciate iscrizioni ma stiamo ancora scavando e contiamo di trovare presto altro eccellente materiale. Sarà invece problematico far riaffiorare l’intera strada sacra. Sul percorso si trova infatti una villa privata la cui costruzione ha certo compromesso l’integrità della zona.»

Ad ovest della città di Orvieto sorgeva il luogo in cui ogni anno, in primavera, i rappresentanti delle 12 città etrusche si riunivano, eleggevano il capo della lega e prendevano decisioni di politica interna e estera. Il Fanum era il massimo santuario in cui si svolgevano, per l’occasione, cerimonie religiose, fiere e mercati – da qui il suo nome -, giochi e spettacoli teatrali; un’area molto ampia nella quale, nella seconda metà dell’Ottocento, sono state ritrovate diverse strutture murarie e terrecotte architettoniche, oggi custodite al Pergamon Museum di Berlino.

Sebbene Tito Livio parli del Fanum Voltumnae non ne ha mai indicato la localizzazione e nei secoli molte città sono state proposte come sedi dell’importante area; gli scavi nella zona di Campo di Fiera, a Orvieto, nel 2006, hanno però permesso di rinvenire il vasto santuario e di identificarlo come il luogo prescelto dalle 12 lucomonie guidate dai re. In tutta l’Etruria non esisteva, infatti, un unico sovrano e le città erano legate in una sorta di confederazione in cui nessuna predominava sull’altra e in cui i vincoli erano prettamente religiosi. A parte i nomi di Porsenna, Muzio Scevola e Clelia, oggi, non si conoscono altri re etruschi così come poche informazioni giungono sulla loro origine, sull’impianto linguistico, sulla vita sociale.

Il mistero che avvolge questo popolo riguarda anzitutto la provenienza; si pensa che sia nato dall’equilibrio tra una migrazione trace-anatolica e le popolazioni autoctone – la cosiddetta civiltà villanoviana – che non vennero distrutte o sopraffatte ma di cui alcune caratteristiche vennero mantenute e ampliate all’interno di una società etrusca. Una civiltà legata al commercio, al controllo dei mari, alla colonizzazione delle terre, alla guerra, segnata dalla suddivisione in caste – da una parte le classi dominanti tendenzialmente oligarchiche e i ceti subalterni semiservili -, sviluppata da un punto di vista culturale, politico e tecnologico – celebre la lavorazione dei metalli – tanto da dare grande spazio alle donne, deposito della ricchezza dell’aristocrazia etrusca e protagonista dei rapporti tra clan.

Come ben si evince dagli studi delle vaste e ben strutturate necropoli, dalle tombe e dai corredi funerari dei rappresentanti delle classi più agiate, la figura femminile era tenuta in gran considerazione tanto da porne sempre in evidenza il prenome e da ricordare, nell’epigrafia, il nome della madre del defunto. Questi elementi – insieme alla posizione e alla scelta dell’arredamento all’interno delle tombe – fanno comprendere come la donna etrusca partecipasse attivamente alla vita della famiglia e a quella sociale, arrivando anche a assumere dei ruoli politici e amministrativi importanti. Non è casuale, a riguardo, che nel maestoso Sarcofago degli sposi, i coniugi appaiano adagiati l’uno accanto all’altra – con la stessa dignità – sul letto funebre o che nei ritratti femminili dei coperchi delle urne funerarie le donne siano raffigurate in modo realistico, per come erano, anche con quei difetti “stigmatizzati”, invece, dall’arte greca.

Eppure i modelli politici, l’artigianato, l’edilizia sacra non gentilizia, la drammatizzazione della rappresentazione della vita della civiltà greca affondarono le proprie radici anche nelle pieghe dell’aristocrazia etrusca che, intorno al 150 a.C., probabilmente iniziò a sentire l’avvicinarsi della fine. La nostalgia del passato e l’angoscia per il futuro presero il sopravvento e non tardò a arrivare il momento in cui – con l’Italia unificata secondo le leggi di Roma – l’elegante e antica nobiltà etrusca mescolò agli altri dignitari della penisola, gli stessi che, per anni, ne avevano interrogato freneticamente i rampolli, noti per l’arte dell’auspicio e dell’aurispicina – la lettura dei presagi divini attraverso, soprattutto, l’esame delle viscere degli animali sacrificati – con cui la supremazia e il prestigio politico furono a lungo tenuti insieme così come le ire e la volontà degli dei.

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