Torino Film Festival, Eddie Redmayne è Stephen Hawking nel biopic diretto da James Marsh

“The Theory of Everything” cerca la facile commozione causando invece non poca confusione a livello narrativo

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Cambridge – Negli anni Sessanta Stephen Hawking studia per conseguire il dottorato in cosmologia, cercando ardentemente una teoria originale che possa consentirgli di emergere nel mondo della Fisica. Durante questo periodo conosce Jane, compagna di una vita, ma il dolore per la scoperta di una terribile malattia degenerativa rischierà di portargli via ogni cosa, compreso il sogno di trovare un giorno una teoria unificante che riesca a sposare relatività e meccanica quantistica: la teoria del tutto.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui “The Theory of Everything” è raccontato, perché sicuramente non è la storia che ci si aspetterebbe di vedere in piena stagione di premi – oppure è proprio quella che avevamo paura di vedere. Il concretizzarsi, il palesarsi sotto i nostri occhi di un prodotto perfino peggiore del minestrone riscaldato (“acchiappa Oscar”) dell’anno quindi, poiché sembra pure andarne dannatamente fiero.

Allora ti chiedi se qualcosa sia andato storto. Magari in fase di montaggio, speri. Il problema però sembra essere a monte. Un indizio al riguardo ce lo dà uno dei titoli di coda del film: “basato sul romanzo di Jane Hawking – “Travelling to Infinity: My Life with Stephen”. Eccolo l’inghippo! Provi a riconsiderare allora quello che hai visto, ma niente, il film non ingrana comunque.

Al contrario del riuscitissimo “Hawking” che, seppur limitato nel suo essere un prodotto fondamentalmente televisivo, riusciva a darsi un obiettivo, un tono, ad avere un punto focale che qui invece è completamente assente. Nel film del (tutto sommato) bravo (non però come ripetono ossessivamente i suoi personaggi) James Marsh si passa da avvenimento ad avvenimento, da una storia all’altra, senza soluzione di continuità e, quasi per inerzia, si arriva (stanchi) alla conclusione senza mai aver capito veramente dove voglia andare a parare la sceneggiatura.

Il tutto è poi (mal)condito da una fotografia confusa, disomogenea, tesa sempre all’esagerazione, e quindi fastidiosa.

Vero è che le prove di Eddie Redmayne e, soprattutto, di Felicity Jones convincono; per Redmayne si trattava del suo primo ruolo da assoluto protagonista e impersonare una delle figure più geniali e bizzarre della storia contemporanea non era un compito affatto facile. La sua controparte femminile però ha il merito aggiunto di far sentire il peso del sacrificio di una donna completamente devota al marito senza mai strafare o andare sopra le righe ma con quella caratteristica compostezza (molto british) che inserisce ad ogni nuovo lavoro.   

Alla luce di tutto ciò “The Theory of Everything” non è un film che si possa definire “brutto”, ma più semplicemente smarrito e sbagliato.

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Il trailer italiano ufficiale del film