Turchia, il Papa al Gran Muftì: capi religiosi denuncino tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani
Francesco ha incontrato il presidente della Diyanet, Mehmet Görmez, massima autorità religiosa turca, che ieri aveva concesso un’intervista all’agenzia di stampa italiana Aki-Adnkronos International, auspicando un appello contro l’islamofobia. Il Pontefice ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso per promuovere mutuo rispetto e amicizia
Ankara – Papa Francesco ha incontrato ad Ankara il Gran Muftì della Turchia, presidente della Diyanet, il Dipartimento degli Affari Religiosi, Mehmet Görmez, il quale ieri aveva concesso un’intervista all’agenzia di stampa italiana Aki-Adnkronos International. Nel corso dell’incontro la massima autorità religiosa musulmana della Turchia aveva auspicato che il Pontefice facesse un appello contro la “montante islamofobia” nei Paesi occidentali.
Il Papa oggi ha in qualche modo risposto a quell’auspicio, chiarendo però con nitidezza il quadro della situazione e la responsabilità degli attori in campo. Secondo il Vescovo di Roma, i capi religiosi hanno “l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani” e devono rivolgere alle loro comunità “un chiaro messaggio” in forza del quale sia chiaro che “il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze“. “Tale amicizia, e in particolare quella tra cristiani e musulmani, oltre ad essere un valore in sé“, ha ricordato il Papa, “acquista speciale significato e ulteriore importanza in un tempi di crisi come il nostro“, che vede la “tragica” situazione del Medio Oriente.
Dunque, le responsabilità dei leader religiosi e il concreto contributo da essi offerto per la costruzione del dialogo inter-religioso – e quindi del rispetto reciproco e dell’amicizia vicendevole – sono stati al centro del secondo appuntamento di papa Francesco in Turchia, dopo aver lasciato il palazzo presidenziale, dove si era incontrato con il presidente turco Erdogan.
Sulla situazione in Medio Oriente, il Pontefice ha riflettuto sul fatto che sia “veramente tragica“, “specialmente in Iraq e Siria“, due Paesi dove “tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso – ha aggiunto Francesco – a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo“.
Poi, per delineare i termini della questione, senza paura ma anche senza presunzione o superbia, il Papa ha ricordato che l’attuale situazione è determinata da “un gruppo estremista e fondamentalista” a causa del quale “intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa“. Un’identità etnica e religiosa a causa della quale “sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede” con campagne militari specifiche e una violenza che “ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro“. Atti di pulizia etnica e religiosa, aggiungiamo noi senza doverci attenere ai doveri della moderazione diplomatica.
Poi, dopo aver fatto le debite premesse, il Papa ha chiarito – parlando in prima persona plurale – che “in qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace“. Parole pesanti come macigni, che dovranno per forza smuovere le coscienze dei musulmani perbene, fratelli nell’Unico Dio con cristiani ed ebrei.
“Da tutti coloro che sostengono di adorarlo [Dio Creatore, ndr], il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche“, che significa: non c’è spazio per la violenza, la minaccia e la sopraffazione in chi si dice interprete della volontà di Dio. “Alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni“, ha continuato il Papa, sottolineando che l’impegno comune “richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà“.
“In particolare – ha sottolineato – i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei valori presenti nelle loro rispettive tradizioni. Noi, Musulmani e Cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno… elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini“.
Citando poi il Discorso alla Comunità cattolica di Ankara tenuto da San Giovanni Paolo II il 29 novembre 1979 – giusto 35 anni fa – il Papa ha ricordato che “riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà“.
“Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti“, ha evidenziato Francesco. “A questo proposito – ha aggiunto – vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. Sono due milioni. È questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere“.
Infine, con un riferimento istituzionale che non poteva mancare, il Papa ha rilevato di aver appreso “con soddisfazione” delle “buone relazioni e della collaborazione tra il Diyanet e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso“, auspicando una continuazione e un consolidamento “per il bene di tutti“, quale strumento di “dialogo autentico“, unico “segno di speranza per un mondo che ha tanto bisogno di pace, sicurezza e prosperità. E anche di dialogo“, che necessita della creatività dei leader, capaci di rappresentarlo in forme sempre nuove.
Ribaltando la palla nel campo dell’interlocutore, Papa Francesco ha mostrato una fermezza dialettica e un coraggio strategico di carattere storico. Ha richiamato ai comuni valori, che però non danno esiti analoghi; ha riflettuto sulle comuni origini, ma ha anche puntato il dito contro le degenerazioni fondamentaliste che colpiscono chiunque non si adegui alla tragica visione estremista dei jihadisti dell’Isil.
Insomma, la “vera guerra santa” sarebbe quella per la pace, non certo quella per imporre un Dio iroso e vendicativo al mondo.
(Credit: AsiaNews) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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