Crisi India/Italia sui Marò. Gentiloni: “pronti a ogni passo”. Pinotti: delusi e irritati. Tutta scena pro Quirinale

Il ministro degli Esteri: “la salute dei militari è la nostra priorità”. Il ministro della Difesa, con gli occhi luccicanti in direzione Colle, si impunta e ammette indirettamente il fallimento di tutta la gestione della controversia. Questione umanitaria, dice il ministro, scambiando lucciole per lanterne. Una volgare messa in scena, strumentale per la “campagna elettorale” per la successione quirinalizia

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Roma – ‘È iniziato il braccio di ferro tra Italia e India sul caso dei marò, i due sottufficiali della Brigata San Marco accusati – senza alcuna prova – di aver ucciso due poveri pescatori del Kerala, uno Stato dell’India orientale, durante un approccio in mare scambiato per attacco piratesco‘.

Leggete bene questo incipit: sarebbe valido e veritiero se oggi fosse – nella peggiore delle ipotesi – il 17 dicembre 2012, ossia dieci mesi dopo i fatti oggetto di controversia. Invece, oggi è il 17 dicembre 2014, di mesi ne sono passati 34, due anni e dieci mesi. E tutta la vicenda è stata trattata dai responsabili dei Governo italiano succedutisi in modo opaco, omissivo, inefficiente, inefficace e forse anche con alcuni reati contro lo Stato e le Forze Armate.

Chi sono costoro?

Mario Monti, il supposto salvatore dell’Italia, in un fasullo immaginario collettivo per cui il Paese si salva grazie all’uomo-solo-al-comando (e non con il contributo di tutti noi).

L’allora ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, candidato a prendere il comando del centro-destra italiano, ruolo che strombazza ogni tre mesi (ossia ogni volta che presenta, come novità, il suo movimento innominabile: già parlare di Passera in quanto tale è uno strappo etico per chi è davvero innamorato dell’Italia).

Emma Bonino, ministro degli Esteri pro tempore ed eterna promessa dela politica italian, concentrata nella sua personale scalata al Colle più alto de Roma (è una fissazione ricorrente), e sempre beneficiaria di posizioni di rilievo nazionali e internazionali grazie ai meriti conquistati nel campo dei diritti civili (visto che è un diritto civile ammazzare un essere che non si può difendere, scambiandolo per un agglomerato di cellule, uno sputacchio di vita, ma sempre sputacchio).

L’ammiraglio Giampaolo di Paola, militare di gran valore persosi nei meandri del dopo congedo a suon di lauti emolumenti: da ministro della Difesa avrebbe meritato il processo per intelligenza con una potenza straniera? Sarà materia per gli storici: i magistrati italiani – tanto solerti e aggressivi verso ogni forma di deviazione (altrimenti come si spiegherebbe la difesa granitica dell’obbligatorietà dell’azione penale?) – non hanno trovato nulla da ridire nella gestione della “pratica marò” in tutta la filiera, dall’autorizzazione data al comandante della petroliera “Enrica Lexie” di entrare in porto a Kochi, fino al “figurone” in Parlamento all’atto delle dimissioni di Giulio Terzi.

Enrico Letta, presidente del Consiglio del dopo/Monti: tra vedo e Vedrò, una figura di grande preparazione europea, ma incompiuto in Italia, visto l’immobilismo del suo governo.

Mario Mauro, ministro della Difesa del Governo Letta: inconsistente durante il governo, ripresosi a tempo scaduto, segno dell’esistenza di un quid ostativo che ha impedito e impedisce ai ministri di agire come avrebbero dovuto e dovrebbero.

Con la vice di Mauro alla Difesa, Roberta Pinotti, riprende il gioco dell’oca dei “faremo”, “apriremo”, “verificheremo”, agiremo”, “avocheremo”, “invieremo”, “attiveremo”, verbi coniugati al futuro attorno a un passo decisivo e previsto dal diritto internazionale marittimo pattizio, ossia derivante da un Trattato Internazionale (UNCLOSUnited Nations Convention on the Law of the Sea (10 dicembre 1982, Montego Bay)firmato e ratificato da India e Italia e quindi vincolante entrambi i Paesi. 

Federica Mogherini, Nostra Signora della Sicurezza, della Difesa e della Politica Estera dell’Unione Europea, in qualità di moglie di un collaboratore di Veltroni Walter, il missionario in Africa mancato, dipendente del contribuente e papabile al Quirinale per il dopo Napolitano.

Paolo Gentiloni, attuale ministro degli Esteri, erede di una gestione vergognosa della controversia e immobilizzato dall’abbrivio imposto dalla condotta dei precedessori.

Matteo Renzi, “l’uomo del tombino”, nel senso che è passato dall’occuparsi dei tombini delle fogne di Firenze alle fogne della politica internazionale, senza avere la benché minima preparazione al riguardo.

Tutta questa gente ha – con un livello diverso di responsabilità (perché gli ultimi di certo non hanno le stesse colpe dei primi) – il demerito di aver abbandonato due militari italiani, in missione di Stato, al proprio destino.

La situazione è stata gestita con il fine di farla rimanere a mezz’aria, come se il bubbone dovesse essere risolto da tempo. Come se declamare l’attivazione dell’arbitrato internazionale previsto dal diritto marittimo (il citato UNCLOS) significasse di per sé l’avvio della procedura. Come se affermare di aver inviato cinque note verbali al ministero degli Esteri di New Delhi – senza riceverne peraltro riscontro – fosse un dato a favore delle tesi italiane e non l’ennesima, reiterata, molteplice mortificazione dell’Italia (si confrontino al proposito le dichiarazioni di Mogherini sul tema: qui solo una rassegna delle mensogne, una delle tante riscontrabili con i motori di ricerca).

Così, di fronte alla decisione della Corte Suprema indiana di rigettare rigettato l’istanza di Latorre per continuare a curarsi in Italia e di Girone per venire nel proprio Paese a trascorrere con la famiglia le festività natalizie, la politica/politicante – che finora ha fallitto su tutta la linea – si è ringalluzzita, cominciando a mostrare muscoli fasulli e ottenuti con il doping quirinalizio.

È infatti ormai evidente che la corsa alla successione di Giorgio Napolitano – vertice di tutte le inefficienze, inefficacie e delel gestioni vergognose di questa vicenda, nella qualità di comandante supremo delle Forze Armate e di rappresentante del Paese nella Comunità Internazionale – è il vero doping dei falsi Carnera, la droga degli autoproclamati combattenti per la dignità nazionale in una vicenda che ha solo un punto chiaro: l’India ha violato trattati internazionali e ha mortificato un Paese amico (l’Italia), quasi a giungere al compimento di atti di quasi-guerra: come la limitazione della libertà di movimento dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini (già consigliere diplomatico del Passera Corrado, il salvatore dell’Italia che presenta ogni tre mesi la sua ultima creatura politica).

La decisione di richiamare l’ambasciatore Mancini per consultazioni è una prassi diplomatica mirante a far emergere un dissidio: ma è inutile quando il dissidio, la controversia, il disaccordo è noto, acclarato e manifestato in tutte le salse. In questo caso si trasforma in puro esercizio di retorica: inutile.

Abbiamo l’obbligo di reagire e mi auguro che la reazione sia ferma e unitaria“, ha detto oggi Gentiloni di fronte alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato riunite in sessione congiunta. No: quest’obbligo c’era fin dall’inizio e chi non lo ha adempiuto (tutti i ministri coinvolti) si è macchiato di un grave reato omissivo, non perseguito da alcun magistrato. Una vergogna.

Oggi per essere forti abbiamo bisogno di mostrare decisione e fermezza e unità all’esterno. Di fronte ad un atteggiamento cosi’ grave ci riserviamo tutti i passi necessari“, ha aggiunto Gentiloni, dimenticando però che i “passi necessari” non sono stati seguiti da azioni, ma da una colpevole inazione che dovrebbe trovare sanzione giudiziaria, oltre che politica.

La situazione crea disagio ed è in cima ai nostri pensieri“, ha detto ancora il ministro. Ma non è vero, perché altrimenti l’arbitrato internazionale sarebbe già stato attivato e i due militari si troverebbero in una posizione più garantita, magari ospiti di un Paese terzo o di una nazione neutrale come la Svizzera.

“Il pieno recupero fisico di Massimiliano Latorre è una priorità del nostro governo” (Gentiloni). La posizione di Salvatore Girone è “per noi motivo di angosciosa preoccupazione, anche nel suo caso dal punto di vista delle ripercussioni mediche che la sua situazione sta provocando” (ancora Gentiloni). “Siamo irritati” (Pinotti). Le istanze presentate dai due militari italiani erano “di carattere umanitario” (Pinotti). Il Governo si aspettava “un risultato diverso” (Pinotti). Il Governo assicura il “fermo impegno” per “rimediare” alla situazione (Pinotti). “Prenderemo tutte le misure” necessarie (Pinotti). Il Governo considera “una priorità” il pieno recupero fisico di Latorre (Pinotti). Non faremo “nulla per mettere a rischio le sue condizioni” (Pinotti).

Tutte queste dichiarazioni sono delle balle clamorose, fumo gettato negli occhi dell’opinione pubblica, miranti a preparare il terreno all’eventuale elezione di uno di questi signori alla Presidenza della Repubblica. Così da far diventare palese una stupefacente mossa politica, con cui si cerca di strumentalizzare un dramma umano e nazionale (la perdita della dignità di Paese democratico e civile nel consesso delle Nazioni): l’uso strumentale della vicenda del marò a fini di politica interna e come fulcro per la campagna mediatica che accompagnerà la scelta del successore di Napolitano.

Di fatto, una svolta che copia l’India, dove la vicenda è stata altrettanto sfruttata per fini di politica interna.

La nostra è un’accusa grave, ce ne rendiamo conto, ma finché non raggiungerà la ribalta nazionale, veicolata da un quotidiano nazionale o rilanciata sui social, sarà l’esternazione periferica di un sedicente analista, sì con qualche competenza, ma un signor-nessuno.

Una frustrazione – la nostra – che si avvicina a quella di Latorre e Girone, militari in servizio, difensori del Paese, servitori trattati peggio che servi della gleba da un ceto politico che non ha eguali nel mondo Occidentale. Vergogna!

Post Scriptum

Avrete notato che nella lista dei responsabili non ho citato Giulio Terzi, diplomatico di grande esperienza e ministro degli Esteri del Governo Monti. Non è una dimenticanza, ma il tributo doveroso (e riparatorio) a una delle personalità che hanno mostrato valore e coerenza ai valori in cui credono, al servizio dell’Italia e degli italiani. Le sue dimissioni – forse tardive: ma ha spiegato perché in tutti i modi possibili – furono allo stesso tempo un atto di dignità personale e il tentativo di salvare la dignità nazionale di fronte alla mortificazione imposta al Paese dalle istituzioni indiane e dagli stessi uomini di governo italiani. Un atto che non ha precedenti nella Storia italiana. Punto.

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