The Interview: esperti informatici Usa smentiscono FBI e Obama. “Cyber-attacco a Sony non da Nord Corea”. Figurone…

Per il vicepresidente della società di sicurezza Norse, due sarebbero negli Stati Uniti e una in Canada: “Almeno uno di loro è un ex impiegato della major”. Nei giorni scorsi lo scambio di accuse tra Washington e Pyongyang. Intanto, tra minacce e offese, ‘The Interview’ incassa 15 mln di dollari solo on line e diventa il film più scaricato di sempre. Esercito nordcoreano pronto a fermare l’ingresso del DVD pirata della pellicola

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Los Angeles – Contrordine! Nella querelle internazionale tra Stati Uniti e Corea del Nord è l’ora del colpo di scena. Secondo nuove rivelazioni sul cyberattacco alla Sony avvenuto a fine novembre scorso e per il quale era stato puntato il dito contro la Corea del Nord, allontanano sempre più i sospetti dal regime di Kim Jong-un. Che rimane un soggetto poco raccomandabile della Comunità Internazionale, ma in questo caso sembra essere sempre più estraneo alla vicenda.

La società di sicurezza informatica Norse, infatti, ha annunciato di avere prove contro sei persone, due delle quali sarebbero negli Stati Uniti e una in Canada, le quali sarebbero ritenute responsabili dell’attacco informatico alla major statunitense di fine novembre. Ma c’è di più, perché “almeno uno di loro è un ex impiegato della Sony Pictures Entertainment che ha lavorato in una posizione tecnica e con una conoscenza specifica della rete della società“, ha dichiarato Kurt Stammberger, vicepresidente di Norse, secondo quanto riportato dal quotidiano conservatore transalpino ‘Le Figaro‘.

Per Stammberger il responsabile individuato avrebbe un’acrimonia del tutto particolare, perché è stato licenziato lo scorso maggio a seguito di una ristrutturazione della major in cui lavorava da quasi 10 anni.

Un licenziamento che avrebbe alimentato la sete di vendetta, ottenuta attraverso l’attacco hacker che ha fatto salire la tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord.

Nei giorni scorsi, infatti, l’Fbi aveva detto di avere prove contro il regime di Pyongyang, accusando una unità dell’intelligence nota come ‘Guardiani della Pace’ della violazione del sistema informatico di Sony Picture Entertainment, produttrice del film ‘The Interview‘, in cui si racconta un complotto della CIA per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-Un.

Sabato scorso, però, l’azienda di sicurezza informatica ha affermato “con certezza” che la Nord Corea non era responsabile di “aver orchestrato o avviato l’attacco alla Sony“, anticipando la marcia indietro subito dopo l’altra marcia indietro, la proiezione del film via web e in alcune catene di sale cinematografiche, in cui il film – dalla discutibile verve narrativa – ha però ottenuto un successo strepitoso. 

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Nelle sue indagini la Norse si è affidata ad alcuni esponenti legati al mondo della pirateria sul web, usandoli per monitorare le attività online dell’ex dipendente e scoprendo che in diverse occasioni ha trasmesso “messaggi violenti” sui licenziamenti della Sony attraverso i social network, mettendosi successivamente in contatto con gruppi di pirati informatici di Europa e Asia.

I risultati non sono però ancora definitivi, ha avvertito il vicepresidente della società di sicurezza, ma sono stati inviati lunedì 29 dicembre all’Fbi.

Secondo la Norse, infine, nell’attacco sarebbero coinvolti diversi gruppi di hacker, confermando ciò che hanno scoperto anche altre società di sicurezza. Tra queste l’israeliana Taia Global, arrivata alla conclusione che la lingua madre di persone coinvolte nella violazione informatica era il russo più che il coreano. 

In Nord Corea però la questione ha assunto il rilievo di una minaccia alla sicurezza nazionale. Dopo aver tentato in ogni modo di fermare l’uscita del film nelle sale americane – nella versione dell’FBI sabotando il sistema informatico della Sony Picture Entertainment – i nordcoreani hanno ora costituito una speciale unità militare per impedire il fimi entri nel Paese e che i propri cittadini possano guardare le gesta di attori del calibro di James Franco, improbabile spalla della Cia in un immaginario complotto per assassinare Kim.

Le autorità comuniste di Pyongyang temono l’arrivo di copie dvd pirata attraverso il confine con la Cina o, addirittura, l’invio con improvvisate mongolfiere spedite dalla Corea del Sud. Il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo ha riportato che a capo della nuova unità, di base a Hyesan, al confine con la Cina, è stato messo un generale a tre stelle del Dipartimento per la Sicurezza dello Stato. “Il regime ha iniziato la repressione contro il mercato nero e tiene d’occhio i traffici nelle aree di confine. I militari entrano nelle case e controllano i computer e i lettori di dvd“, ha raccontato una fonte citata dal quotidiano.

Nel frattempo, il film, inizialmente destinato a essere gettato nel dimenticatoio di qualche cassaforte dopo la decisione della Sony di ritirarlo dalle sale cinematografiche per le minacce ricevute a seguito dell’attacco degli hacker, sta ottenendo buoni risultati commerciali. Con Barack Obama nelle vesti di maggiore promoter della pellicola, la SPE era tornata sui propri passi, decindendo di proiettare il film in un numero limitato di sale, circa 330 in tutti gli Stati Uniti, e incassando nei primi quattro giorni 2,8 milioni di dollari. Cui vanno sommati i 15 milioni incassati grazie ai download del film da Internet solamente tra il 24 e il 27 dicembre, per cui il film è diventato il più scaricato di sempre (legalmente).

Insomma, se la pista interna fosse confermata, saremmo in presenza della più strabiliante brutta figura internazionale del Governo degli Stati Uniti sotto l’Amministrazione di Barack Obama, che ormai sembra avvezzo alle pessime figure e che sommerebbe questa alle altre, forse anche foriere di maggior pericolo.

Se avete pensato all’Ucraina e ai giochetti contro la Russia di Putin (che peraltro non è uno stinco di santo), avete colto nel segno…

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